Storia della Italian Umpires Association -
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Le disposizioni del Vademecum comunque non furono di facile attuazione in quanto l’approccio mentale degli umpire italiani non fu tra i più semplici: fermi restando i principi etici insiti in ogni arbitro di qualsiasi disciplina, il loro operato sui campi necessitava di una convinta preparazione a volte purtroppo anche fuorviata da indicazioni, oggi valutate maldestre, quali ad esempio quelle riportate a pag. 40 sul libro “Baseball” di Oriani – Lattarulo edito da Sperling & Kupfer: (1959).
“Se un solo arbitro viene assegnato alla partita, i suoi compiti e la sua autorità si estendono su tutti i punti del campo di gioco e a tutte le regole contemplate dal R.T. ed egli potrà occupare qualsiasi posizione sul campo di gioco che, a suo giudizio, gli permetta di meglio disimpegnare i suoi compiti (…) e (…) l’arbitro di campo inoltre prende quella posizione sul campo di gioco che, a suo giudizio, si addice per meglio rendere le imminenti decisioni sulle basi (…)”
Ed in effetti tra i suoi aneddoti Aldo Chichi, la cui storia di vita si specchia tra le pagine del baseball italiano prima come giocatore, poi come umpire, ancora come presidente del C.N.U.G. (Comitato Nazionale Ufficiali di Gara) (già CNA) ed infine come Giudice Unico, raccontò sornione il suo debutto come umpire così:
“(...) ero molto emozionato quando mi presentai sul diamante per dirigere la mia prima gara. Le regole tutte mi salivano alla mente in modo turbolento. Fu così che il mio collega anziano, mentre indossava la pettorina e si poneva sotto il braccio la maschera, per non accrescere la mia tensione mi disse solamente: Stai tranquillo e sii sempre deciso nelle chiamate. Una forte stretta di mano lì vicino al piatto di casa base ed io, così temprato, deciso mi diressi verso la terza base da dove poi mi concessi il diritto di emettere tutti i giudizi sui giochi in diamante in virtù dell’essere umpire di base. Al termine della gara incuriosito il collega anziano mi chiese: Ma la tua posizione come umpire di base lì sulla terza fa parte delle ultime disposizioni? Io non ne sono stato ancora messo al corrente (...)”
Nonostante il Vademecum avesse ben delineato la divisa da indossare, fu solo nel 1956 che il C.N.A. ebbe la possibilità di equipaggiare gli umpire con una divisa federale che andò a sostituire quelle personali ed improvvisate a proprie spese che i Direttori di Gara indossavano.
La dotazione era composta da un paio di pantaloni blu, due camicie bianche a mezze maniche e cravatta nera da perfetto business man (veniva consegnato anche un fermacravatte) e due cappellini con diversa visiera: uno quando si era designati a casa base ed uno quando si operava sulle basi. Le scarpe? Un optional…possibilmente nere, così come il sacchetto portapalle.
Comunque la divisa degli UdG si era ormai allontanata di molto dall’affettuoso soprannome di “uomini in blue” coniato alla fine dell’ottocento quando gli umpire, eleganti come il Conte di Piombo di Hector Sapia, indossavano una redingot ed un cappello entrambi di flanella blue.
Nel frattempo anche l’attrezzatura stava diventando personale e, oltre alla maschera, schinieri e contastrike, incominciò a fare bella mostra una ingombrante rigida pettorina che non poche perplessità suscitava tra i viaggiatori durante i lunghi viaggi in treno rigorosamente in terza classe. Ma era la stessa che usavano i “colleghi” d’oltre oceano e quindi era una consapevolezza di rango. Successivamente fu realizzata una pettorina gonfiabile che, pur migliorando il trasporto, generò non pochi problemi per via della poca efficienza del tessuto e/o della pompetta in dotazione. Per fortuna subito dopo, migliorando i materiali, ed anche i treni, comparvero le pettorine cosiddette “interne” e si chiuse definitivamente quel tipo di pagina.
Intanto la progressiva affermazione del baseball, ed in parte del softball, chiamò tra gli umpire Francesco Neto, Alberto Cerrai, Alvaro Remondini, Enzo Tondinelli, Amerigo Moscianese, il rosso malpelo Alberto Pozzaglia, Claudio Grimoldi, Piero Gentile, Mario Noli da Roma, Corrado Dall’Aglio, Giancarlo Carbognani, Dossena ed il grande in assoluto Enrico Spocci da Parma, Cesarino Mingardi, Paolo Minardi, Francesco Battilana e Renato Caliendo da Bologna, Giordano Valenti e Bruno Cazzador da Trieste, Alberto Bertoldo da Torino e da Nettuno quell’highlander Sante De Franceschi destinato a divenire l’unico umpire italiano a lasciare il diamante per raggiunti limiti d’età pensionabile.
Durante tutta la sua carriera De Franceschi, destinato a mangiare pane e baseball nell’enclave di Nettuno, divenuto internazionale nel 1973 parteciperà a svariati incontri di cartello in campo europeo e nel 1982, 1998 e 2009 anche in quelli mondiali inserendo nel suo palmares la partecipazione alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992 ed il riconoscimento di miglior umpire europeo nel 2008.
Una nota particolare invece merita Enrico Spocci: dotato di grande personalità e specifica preparazione che impressionò anche il grande istruttore cubano Alfredo Paz, Spocci diventerà il più corretto e determinato Ufficiale di Gara che abbia calcato i diamanti e la sua ampia disponibilità ad essere presente sui campi di qualsiasi categoria lo hanno fatto stimare ed apprezzare dai dirigenti, manager e soprattutto dagli stessi atleti. In qualità di istruttore nella continua ricerca del classico physique du role che ogni umpire avrebbe dovuto rivestire era inflessibile ma anche profondamente umano.
Colpito da un attacco di leucemia, con grande forza d’animo, nonostante il male lo avesse di fatto indebolito, non volle mai abbandonare il suo ruolo partecipando in modo esemplare agli Europei di Harlem in Olanda lasciando poi un vuoto incolmabile tra i ranghi ed una presenza sempre viva tra i ricordi.
Michele Dodde
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franco ludovisi (venerdì, 11 marzo 2016 10:15)
Quando a casa base arbitrava Enrico Spocci noi allenatori eravamo sicuri che tutte le sue decisioni venivano prese in buona fede e che saresti stato trattato senza spocchia alcuna e con assoluto rispetto.
Questo ti faceva iniziare bene la gara dandogli la consueta stretta di mano e basta: poi i convenevoli a fine gara erano quelli di persone che amavano il baseball.
Mi stupii, una volta che giocavamo a Parma con lui come Arbitro Capo, che, dopo lo scambio degli ordini di battuta, Spocci non mi stringesse la mano che gli tendevo, come consuetudine, ma soprattutto per amicizia vera:
ci rimasi molto male, ma non dissi nulla nel ritrarre la mano, per non pregiudicare in alcun modo la gara.
Al termine del confronto però andai a chiedergli il perchè del suo comportamento
e lui mi disse sorridendo che "nuove disposizioni vietavano la stretta di mano prima della gara".
Peccato che queste disposizioni non fossero ancora state comunicate ai Coach!
Ma lui, ligio a tutto, le aveva già applicate!
franco ludovisi (domenica, 23 giugno 2024 23:56)
Il commento è tratto dal profilo che ho fatto di Enrico Spocci nella mia personalissima “Cronaca di una vita nel Baseball” che ho pubblicato solo su facebook a piccoli episodi.
Qui ve lo ripropongo integralmente come lo scrissi allora, subito dopo la sua dipartita.
SPOCCI ENRICO
Giuliano Masola ci parla anche di Enrico Spocci fra le carrellate che fa sul baseball di Parma.
Non sono mai stato un grande ammiratore dei Direttori di Gara che, parlando dei miei tempi, erano un po’ lontani da come li avrei voluti io.
Ero considerato un mangia arbitri, insomma.
Spocci al contrario mi andava molto bene, non che non sbagliasse anche lui a volte, ma il suo essere imparziale al di sopra delle parti era la sua migliore caratteristica.
Mi piaceva incontrarlo sul campo ed anche fuori tanto che posso dire che fra noi c’era sicuramente simpatia se non amicizia.
Vi voglio raccontare un piccolo episodio accaduto fra noi in quel di Parma dove io dirigevo la mia squadra e lui l’incontro:
allo scambio degli ordini di battuta a casa base (allora si faceva così, adesso non so) alla presenza del Direttore di Gara seguivano le strette di mano degli allenatori fra loro e con l’arbitro e poi si dava inizio alle danze.
Quella volta tutto come di norma, ma alla mia mano tesa ad Enrico per la rituale stretta Spocci mi negò il contatto e senza dire nulla si allontanò e poi diede inizio alla gara.
Ci rimasi molto male perché non mi veniva in mente nessun episodio intercorso fra noi che giustificasse la mancata stretta di mano e mi amareggiò moltissimo l' assenza di cordialità dimostratami.
Terminata la gara stavo andandomene dal campo quando Enrico mi raggiunse e mi fece sapere che la Federazione aveva imposto agli arbitri di non stringere mani a chichessia.
“Ma non potevi dirmelo subito?” gli obiettai.
“Anche questo tipo di spiegazione non dovevo darti” fu la risposta. “Piuttosto tu perché non ti sei attenuto alle disposizioni che ci hanno dato?
A me ed alla mia Società non era stata data nessuna disposizione.
Ma qui, quello che mi preme far conoscere, e che Spocci Enrico prima di tutto era il Direttore di Gara che faceva valere le regole del gioco e poi una persona cortese che aveva capito immediatamente l’imbarazzo che mi aveva creato!
franco ludovisi (lunedì, 01 luglio 2024 10:39)
Renato Caliendi, non solo arbitro, ma anche fattivo uomo di softball.
Rosa Mariano (mercoledì, 03 luglio 2024 20:04)
Leggere le belle storie del baseball rinfrescano memorie sopite, evocando momenti di sano agonismo.
Grazie Michele
Paolo Ignesti (giovedì, 04 luglio 2024 11:10)
Grazie Michele, la tua macchina del tempo produce emozioni senza fine