Racconto
Protagonisti:
Cotter un ragazzino di colore
Bill - Giovane uomo d'affari
Casualmente seduti vicini durante la memorabile partita al Polo Grounds del 3 ottobre 1951, NY Giants contro Brooklyn Dodgers in cui con un fuoricampo di Bobby Thomson i NY Giants vinsero il Pennant. Cotter e Bill hanno lottato sotto i sedili per impossessarsi della palla del fuoricampo e Cotter ha avuto la meglio.
Ormai la folla si sta assottigliando rapidamente e Cotter supera l'ultimo drappello di polizia a cavallo giù verso la Centoquarantottesima strada.
- Ehi Cotter, vediamo di essere onesti. Tu me l'hai strappata di mano. E' un chiaro caso di scippo. Ma voglio essere ragionevole. Mettiamola in soldoni. Cosa ne dici di dieci dollari in moneta sonante? E' un fior di offerta, accidenti. Dodici dollari. Ti ci puoi comprare una palla e un guantone.
- Questo lo dici tu
- D'accordo, costi quel che costi. Cerchiamo un negozio ed entriamo. Un guantone da baseball e una palla. Avete un negozio di articoli sportivi da queste parti? Cavolo, abbiamo vinto la partita della nostra vita. Abbiamo un buon motivo per festeggiare.
- La palla non è in vendita. Non questa palla.
Bill fa: -Certo che hai una bella presa. Dovrei farmi medicare il braccio, senza scherzi. Me l'hai strizzato a morte.
- Ringrazia che non te l'ho morsicato. Ci stavo facendo un pensierino.
Bill sembra deliziato dal modo in cui Cotter è entrato nello spirito del movimento. Le strade laterali sono uno sfacelo di rifiuti abbandonati e vetri rotti, più i resti di una macchina mezza smontata accovacciata sul semiasse e uomini fermi sulla soglia di casa con l'aria completamente trasognata.
Bill scatta verso Cotter, all'improvviso spicca quattro falcate, volutamente pesanti ed esagerate, con le braccia spalancate e un grugnito da film che gli esce dalla gola. Cotter lo prende come uno scherzo, ma non prima di essersi precipitato in mezzo alla strada, schivando per un pelo una macchina di passaggio.
Si sorridono attraverso il traffico.
- Ti ho visto rannicchiato sul sedile e ho creduto di aver trovato un amico. Questo è un tifoso del basebll, ho pensato, non un delinquente di strada. Sembri decisissimo a deludermi. Cotter? Gli amici si siedono insieme e cercano di trovare una soluzione.
I lampioni stradali sono accesi. Adesso stanno camminando spediti e Cotter non sa bene chi abbia accelerato l'andatura per primo. Sente un dolore alla schiena nel punto in cui la gamba del sedile gli premeva contro.
- Avanti, dimmi quanto mi costerà separarti da quella palla da baseball, figliolo.
A Cotter non piace il tono di quest'ultima richiesta.
- Voglio quella maledetta palla.
Cotter continua a camminare.
- Ehi villanzone, sto parlando con te. Cosa credi, che questo sia un divertimento a buon mercato? Tirarti dietro lo scemo, eh?
- Puoi parlare finché ti pare, - fa Cotter. -Ma la palla non è tua, è mia. E non la vendo e non la scambio con niente.
Una macchina arriva sterzando dalla avenue, e Cotter si ferma per lasciarla passare. Poi sente qualcosa muoversi intorno a lui. C'è un fremito sull'asfalto o nell'aria e un attimo di perplessità sulla faccia di una donna lì vicino - il suo sguardo si sposta per controllare cosa succede alle spalle di Cotter. Lui si gira e vede arrivare Bill immenso e veloce, pompando con le braccia. Che sbattimento per una palla da baseball. La faccia congestionata di Bill, la stoffa lisa sulle ginocchia. La sua espressione non ha niente a che fare con lui, sembra un uomo uscito da tutt'altra esperienza, disperato e irrefrenabile.
Cotter resta lì impalato per un lungo secondo. Fa una finta con la testa, poi si mette a correre giù per la strada laterale vuota con Bill alle calcagna, vicinissimo. Si ferma bruscamente e si abbassa scivolando in ginocchio e ruotando sulla mano destra, la mano della palla, premendo forte la palla sull'asfalto e usandola come perno. Bill lo oltrepassa in un ronzio di respiri affannosi, un ronzio articolato molto simile alla parola. Cotter lo vede fermarsi e girarsi. Trasuda rabbia, la faccia congestionata e contorta. Una manica della giacca che ha in mano è caduta penzoloni e striscia silenziosamente a terra.
Cotter torna di corsa verso la avenue con il fruscio di un respiro alle spalle. Hanno superato la folla dello stadio, sono in piena Harlem adesso - Cotter non deve far altro che arrivare all'angolo, alle luci della gente. Vede neon di bar e lenzuola stese ad asciugare. Vede "Polli Freschi di Fattoria". Legge la scritta o forse la assimila tutta intera, e c'è in essa uno strano senso di calma e compiutezza, un segno di sicurezza. Due donne si scostano nel vederlo arrivare - guardano l'inseguitore alle sue spalle e Cotter nota la loro espressione allarmata, l'acuirsi dell'attenzione. Bill è vicino, fa rimbombare l'asfalto con le sue scarpe da uomo d'affari.
Nella avenue Cotter piega a sud, corre per mezzo isolato, poi si gira con una piroetta, si produce in una serie di sberleffi - corre all'indietro per un tratto, trotterella, si prende gioco di Bill, mostrandogli la palla da baseball. E' un burlone incattivito. Tiene la palla all'altezza del petto e se la rigira tra le dita, il che non è facile quando si corre - fa ruotare la palla sul proprio asse, la fa roteare lentamente, mostrando i duecentosedici punti di cotone rosso in rilievo.
Non ditemi che non vi piace questa mossa.
La manovra fa rallentare Bill. Guarda Cotter che pedala all'indietro, con passo da ballerino, e non vede via d'uscita. Perché grazie alla manovra si rende conto di dove si trova. Del fatto che Cotter non ha paura. Del fatto che sta esibendo la palla da baseball. Bill si ferma del tutto ma è troppo furbo per guardarsi intorno. Meglio limitare il campo visivo alla zona immediatamente circostante. Perché non sai chi potrebbe ricambiare il tuo sguardo. E man mano che Bill prende atto della situazione, aumenta lo spazio per la rabbia di Cotter. Non sa bene come sfogarla.
E' la seconda volta che si prende gioco di qualcuno oggi, ma non prova un impulso iroso come quello di placcare il poliziotto. L'intensità dello sfondamento dei cancelli è un vago ricordo ormai - Cotter è confuso e stanco e non riesce a tirar fuori il suo sguardo truce da teppista. Quindi si ferma a guardare Bill con i piedi ben piantati per terra mentre i passanti guardano e non guardano. Fa roteare la palla in alto e sul dorso della mano e l'acchiappa al volo quando gli scivola giù dal polso, con una rapida torsione della stessa mano, tipo vaffanculo mister, con chi credi di avere a che fare.
Guarda Bill, un uomo accaldato e ansimante che ha rincorso inutilmente sulle rotaie il treno delle nove e cinque.
Poi gli gira le spalle e si incammina lentamente giù per la strada.
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Cotter guarda suo padre e dice:
-Ti spiacerebbe scrivere una lettera per me? Ne ho bisogno per la scuola.
-Ma davvero? E cosa ci scrivo?
-Che ho perso un giorno, causa malattia.
-Caro tal-dei-tali. - Esatto. Così. - La prego di scusare mio figlio. Giusto. - Per il motivo che era malato.
-Digli che avevo la febbre.
-Quanta febbre avevi?
-Boh, trentotto dovrebbe andar bene.
-Non vogliamo essere troppo modesti. Sempre che decidiamo di farla, questa cosa.
-Okay. Perché aveva trentanove e mezzo di febbre. - Però devo dire che a me sembri un fiore. - Mi sono ripreso bene, grazie. -Questo lo vedo ma cos'é che hai sul maglione? - Non lo so. Lappole. - Lappole. Ma qui siamo a Harlem. Che tipo di lappole? - Non lo so. Si vede che vado in giro. - E dov'è che sei andato per perdere un giorno di scuola?
-Sono andato alla partita.
-Alla partita.
-Al Polo Grounds. Oggi. - Eri alla partita? - chiede Manx - Quella che ha scatenato quel casino per le strade?
-Questo non è niente. Che io ci fossi non è niente. Ho preso la palla che lui ha battuto.
-No, non ci credo. Quale palla?
-Quella del fuoricampo che ha fatto vincere il campionato, - dice Cotter sottovoce, un po' riluttante perché è una cosa così stupefacente da dire che per la prima volta è intimorito nel
dirla.
-No, non ci credo.
-L'ho trovata e l'ho presa.
-Me la stai raccontando grossa.
-No te l'assicuro. Ho la palla. Proprio qui.
-Sai cosa sei? - dice Manx. Cotter prende la palla.
-Ti piace raccontarle grosse, eh?
Cotter lo guarda. Siede sulla cuccetta inferiore con la schiena appoggiata al muro, e guarda l'uomo sul letto di fronte. Poi raccoglie la palla da baseball, la toglie dalla coperta militare dove è affondata, accanto alla coscia. La tiene bene in vista e la fa roteare sulla punta delle dita. La regge in alto con la mano destra e usa l'altra mano per farla ruotare. Non gliene importa un accidenti. La esibisce, se ne vanta. Sente rabbia e rossore salirgli in faccia.
-Mi stai dicendo la verità?
Cotter fa un altro giochetto, scuotendo la palla come se fosse troppo magica per tenerla ferma -gli farà venire un colpo, al suo vecchio, a furia di fargli strabuzzare gli occhi. E' incattivito e
rabbioso, e fulmina il padre con lo sguardo.
-Ehi. Sei sincero col tuo papà?
-Perché dovrei mentire?
-D'accordo. Perché dovresti?
-Non ce n'è motivo
-D'accordo. Non ce n'è motivo. Questo lo capisco. L'hai raccontata a qualcun altro questa storia?
-A nessuno
-Non l'hai raccontata a tua madre?
-Mi avrebbe detto di restituirla.
Manx scoppia a ridere. Appoggia le mani sulle ginocchia e si dondola all'indietro ridendo.
-Accidenti è vero! Ti farebbe marciare fino allo stadio per restituirla.
Cotter non vuole andare troppo in là. Sa che la peggior trappola del mondo è schierarsi con suo padre contro sua madre. Deve calibrare ogni sua mossa, dire questo e fare quest'altro, ma la cosa a cui deve fare più attenzione è stare dalla parte di sua madre. Altrimenti è spacciato.
-D'accordo. Allora cosa vogliamo fare? Forse domattina possiamo andare allo stadio e far vedere la palla. Portiamo il tuo biglietto così se non altro vedono che eri alla partita, seduto nella
sezione giusta.
Ma di chi chiediamo? A quale sportello andiamo? Forse saltano fuori una dozzina di persone che dicono questa è la palla, no è quest'altra, ce l'ho io, ce l'ho io, ce l'ho io.
Cotter ascolta attentamente.
-Chi vuoi che ci dia retta? Due persone di colore che non contano niente. Chi ci crederà, che un ragazzo di colore ha soffiato la palla a una masnada di bianchi?-
Manx a questo punto tace, forse per ascoltare l'idea che gli si sta sviluppando in testa.
-Sono convinto che dobbiamo scrivere una lettera. Si, si. Scriviamo una bella lettera alla scuola e poi scriviamo un'altra lettera e la mandiamo alla Federazione del baseball.
Cutter ascolta. Guarda suo padre sprofondare in riflessioni private, in preoccupazioni e progetti.
-Cosa diciamo in questa lettera?
-La mandiamo raccomandata. Ecco, un tocco in più. La mandiamo insieme al biglietto.
-E cosa diciamo?
-Che mettiamo in vendita la palla. Cos'altro possiamo dire?
Cotter vorrebbe alzarsi e guardare fuori dalla finestra. Si sente intrappolato e vorrebbe star solo e non fare altro che guardare fuori dalla finestra.
- Io non voglio venderla. Voglio tenerla.
Racconto tratto da UNDERWORLD di Don DeLillo
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