Ezio Cardea ha proposto sui siti di Mybaseball e Baseballmania alcune riflessioni personali inerenti la “postura” dell’Ufficiale di Gara chiamato a giudicare i lanci, la sua enfasi di voce e la gestualità relativa. Sono riflessioni che fanno scaturire diverse considerazioni tutte tese a migliorare qual muto dialogo tra umpire e pubblico. In effetti, già quando il baseball aveva lasciato i principi di amatorialità e con gli umpire John Gaffnev, chiamato “honest” per bravura tecnica, che fu il primo a giudicare i lanci posizionandosi dietro il ricevitore, e Ben Young che fu il primo a concepire una congeniale divisa (pantaloni e camicia “blue” da cui il nomignolo degli umpire in slang) ed a scrivere il primo codice di etica con il canovaccio di una mitica meccanica a due, fu solo nel 1905 che l’umpire Cy Rigler inventò i segnali, ovvero i gesti che avrebbero indicato al pubblico il giudizio attuato in quanto si evidenziò già da allora la necessità di indicare al pubblico la decisione presa senza ombra di dubbio alcuno.
Da allora questi segnali hanno solo avuto alcune innovazioni inerenti esclusivamente l’approvazione di nuovi atti leciti o non leciti (ad esempio l’infield fly). Nel suo intervento garbato e sfumato qua e là da sottile ironia l’appassionato Ezio Cardea ha richiamato da par suo concetti ed etica che in verità fanno già parte della complessa normativa della scuola arbitrale italiana e che poi si dovrebbero sgrezzare via via con la pratica e con intensi “umpire’s clinic” tendenti a migliorare il giusto “timing”. Non è cosa facile, anzi va pur detto che nel settore degli Ufficiali di Gara le lezioni a suo tempo accettate ed acclarate e divulgate di quell’umpire commissioner che fu il cubano Paz (correvano gli anni a cavallo del 1980), oggi si è caracollati ad un copia incolla di quella scuola statunitense che diventa solo patrimonio personale. Si ricerca così uno stile e non l’omogeneità e i bravi diventano sempre più bravi, gli altri…
Ma sono proprio queste puntualizzazioni e le riflessioni di Ezio che fanno scaturire, come detto, altre considerazioni. O meglio, il numero 45 di Sette, settimanale costola del Corriere della Sera, nel riportare un intrigante articolo di Cesare Fiumi dal titolo: “Tu chiamale, se vuoi, vocazioni” veniva puntualizzato come nella sezione AIA di Como su 170 arbitri ben 22 erano stranieri tra ivoriani, marocchini, tunisini, egiziani, moldavi e ucraini.
Questa massiccia presenza era dettata “ più dalla passione quanto il racimolare qualche euro”. E, nell’intervista, il responsabile precisava che “loro lo fanno un po’ per vocazione ma un po’ anche per avere dei piccoli guadagni che, a italiani e stranieri, fanno certamente comodo”.
Indiscutibilmente forse questo trend prima o poi entrerà anche nell’ambiente degli umpire italiani ed il problema, a mio parere, deve essere sviluppato ed esaminato a più risultati poiché esso deve far riflettere non su la presenza futuristica di stranieri, che se bravi sono ben accettati, quanto invece sulla loro serietà vocazionale.
Nel baseball e nel softball gli umpire, come non ci stancheremo mai di sottolineare, sono e saranno sempre fortemente decisionali nei loro giudizi ed allora sarà opportuno una sempre continua verifica perché è incisivo rimarcare che essere designato a dirigere una gara è un onore che le squadre concedono al singolo e non un mezzo per racimolare qualche euro. Se varrà il primo concetto, il settore dei giudici di gara italiano non potrà che migliorare sempre più poiché la vocazione porrà gli umpire a sempre felici scelte di vita, in caso contrario avremo sui diamanti oscuri personaggi da dimenticare presto.
Infatti, cosa deve essere un umpire quando scende in diamante per dirigere una gara?.
Bruce Chatwin è diventato famoso per una sola frase emblematica: che ci faccio qui?. A questa domanda l’umpire deve sapere sempre rispondere a se stesso proponendosi, nella sublimazione del proprio operato, di essere preparato e lucido nell’emettere i giudizi che sono in definitiva la sintesi di una forte passione emotiva pronta a plasmarsi su quell’indeformabile specchio che riflette il passare delle azioni di gioco così miste alle molte sfaccettature ed ai fasci cromatici di un regolamento che delinea inequivocabilmente la gara dall’inizio alla fine ed oltre e che non è solo formale se capito ed interpretato.
Ed è l’attività del Blue, che accompagna gli atleti dal primo play ball all’ultimo out, ed il suo giudizio non sarà mai beffardo ma anzi pronto a svilupparsi ed esaltarsi nelle tinte e nelle ombre al di sopra delle anomalie e delle definizioni. Poi la sua qualità evidenzierà i continui attimi di profonda attenzione intimamente palpitanti non disgiunti dagli inequivocabili valori che sanno di cultura e che hanno avuto avvio da sempre, ieri come oggi e domani. L’emettere un giudizio dunque, che ha ispirato il giudice di gara già dai suoi primi passi alla conoscenza personale dei propri limiti, è una prerogativa che deve distaccarsi con forte personalità quando ci si muove sui diamanti divenendo unica componente idonea a plasmare l’adattamento dell’io alla natura stessa del baseball e del softball preservandone e migliorandone l’essenza e la vitalità.
Necessita dunque l’imparziale ed oggettiva emissione di un giudizio per configurare in pieno l’armonia di una gara ed elogiare questa disponibilità allora diventa ricerca, sfida, consapevolezza, emulazione, generosità, carattere, stile, momenti, pensiero, valori e poesia in un crescendo che nulla può lasciare al caso. Con questi intendimenti il suo giudizio sarà caratterizzato come un affascinante esempio tra i tanti episodi che si susseguono, nel muto dialogo tra il lanciatore ed il ricevitore o tra le basi, con situazioni e personaggi tipici di un gioco-mondo affascinante e pur sempre misterioso, palpabile ed elegante nello stile, incisivo e plateale nella sua centenaria gestualità.
Ed è così che il rapporto, che si sviluppa nel giudicare, si stringe con la gara diventando esperienza mistica e successiva comparazione scientifica ben lontana da una creatività che non gli compete. Bisogna amare l’arbitraggio dunque e poi viverlo e sentirlo perché esso è vivo in chi con enfasi dà inizio alla contesa ma è anche desiderio in chi partecipa con il privilegio di saperlo, e non per forma.
Tutto questo tra le righe è stato richiamato da Ezio Cardea poiché si è sentito fortemente coinvolto nella consapevolezza che il baseball ed il softball sono un patrimonio comune e parlarne non guasta mai. In caso contrario si parlerà sempre del sesso degli Angeli.
Post scriptum: se l’amico Franco Ludovisi è d’accordo, proporrei di invitare Ezio Cardea nel cenacolo di quelli che parlando di baseball aspettano l’alba.
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roberto (venerdì, 20 giugno 2014 12:55)
a mio parere ritengo che arbitri di ibl/a/b/ e c, che e' la serie piu' bassa per il livello arbitrale, dove si ritiene che gli arbitri siano alle prime armi , e quindi si devono costruire il rispetto del ruolo e sapendo che a volte la loro decisione determina il lavoro di mesi.....gia' questi la prima cosa che noti e' la prepotenza del potere che hanno nei confronti nei manager, loro giudicano , come e' il loro mestiere , ma devono sapere che anche i manager sono li', per aiutare e difendere l'operato dei loro giocatori, non giustificarli, ma proteggerli su determinati giudizi, e di questo non ti fanno nemmeno avvicinare e parlare ... certi atteggiamenti dovrebbero essere ragionati, il discorso e' lungo e per scriverle ci vorrebbero ore e probabilmente piu' commissari di campo a verificare tale operato....
Michele Dodde (venerdì, 20 giugno 2014 14:23)
Caro Roberto,
la tua sintesi per molti episodi può essere condivisa, tuttavia come spesso accade alle pietanze,queste non sono buone se manca un pizzico di sale. Bene, a volte può capitare che manchi il buon senso di comprendere e capire (qui mi riferisco alle serie minori) che è necessario "crescere" insieme. Il baseball vero dunque è una precisa scelta e da questa non si dovrebbe mai debordare. E questo è il messaggio da divulgare
Ezio Cardea (venerdì, 20 giugno 2014 17:30)
Carissimo Michele,
data la tua esperienza nel ruolo maturata nella direzione di ben … 1283 gare!, non ti nascondo che ho atteso con una certa apprensione il tuo parere sulle mie osservazioni su quelli che ho impropriamente chiamato “arbitri”.
Mi fa piacere che abbia messo in evidenza che quel mio scritto (accidenti a quel tuo bellissimo articolo “L’esatta terminologia”! Come faccio a chiamare “articolo” le mie esternazioni se, lungi dall’essere io giornalista, non ho nemmeno un briciolo del tuo stile e delle tue capacità espressive?), non è una gratuita ironia su certi giudici di gara, ma una forte passione per il baseball in tutte le sue componenti , compreso quindi l’ “umpire” , che ne fa parte molto più di quanto possa apparire o si posa credere.
Grazie. Sono lusingato anche nel pensare di poter aspettare l’alba parlando di baseball assieme ai giganti del nostro sport! Naturalmente col consenso … dell’amico Franco Ludovisi!
TERZABASE (sabato, 21 giugno 2014 10:35)
Caro Roberto,io ho fatto parte della Legione Straniera degli Umpire,di quelli che arbitravano negli anni 60,portandosi in campo il libretto del regolamento del gioco del baseball e discutere con i manager sull'applicazione delle regole e pertanto potrei raccontarti aneddoti a non finire,però il problema è che l'arbitro viene sempre travisato come un guastafeste e la maleducazione verso la sua persona è quasi doverosa.Ci possono essere arbitri che sono (ma anche nella vita)solo chiacchere e distintivo, ma anche e nella maggior parte uomini onesti che cercano di sbagliare il meno possibile.Bisogna insegnare ai giocatori (lasciamo perdere il pubblico che paga il biglietto e viene a sfogare i suoi disagi personali contro l'uomo blu)il massimo rispetto verso questa persona che che sacrifica la sua passione e a volte a sue spese per farli giocare.Poi per tutti c'è una prima volta e l'errore è umano, forse non sbagliano i giocatori?ma non vengono messi alla gogna.Caro Roberto non so nel campo del baseball che ruolo coprivi,ma ti assicuro che poi negli ultimi anni assunto il compito di Comissario, con l'aiuto dei miei superiori, abbiamo sempre cercato di correggere le eventuali lacune.Ricordati però che senza l'arbitro non si può giocare, come senza il chirurgo non si può operare e anche qua per lui potrebbe essere la prima volta.Un caro saluto TERZABASE
Luca Pavan (martedì, 24 giugno 2014 16:22)
Il lavoro arbitrale è sottoposto ad alcune regole non scritte del mondo del baseball e nn solo, che tendono a mantenere sempre un livello critico la percezione che i tifosi e il più ampio pubblico manifestano nei confronti di questa attività: Queste regole sono le seguenti: Sin dall’antichità, lo sport è stato un fenomeno sociale in cui vi è sempre stata una simbiosi fra prestazione atletica e spettatori, e va ricordato che i primi eventi di cui si ha conoscenza risalgono al 5.220a.c. Significa che gli spettatori hanno da sempre parteggiato per gli atleti che gareggiavano dividendosi per fazioni.
Il Baseball è una versione ritualizzata della caccia, dove i giocatori sono i cacciatori, l’arma è la mazza, la preda è la palla e l’arbitro è il giudice tribale su cui nessuno può interferire quando prende una decisione. La decisione di un arbitro a favore di una squadra è contro gli interessi dell’altra. Ogni volta che l’arbitro comunica una decisione, metà dei giocatori, l’allenatore e gli spettatori provano una qualche forma di disappunto. Questa è a ogni livello la natura del baseball agonistico e anche amatoriale, ne so qualkosa io con la UISP.
Le reazioni dei giocatori all’assegnazione di una decisione per loro negativa sono significativamente influenzate dallo stile di comunicazione che l’arbitro mostra in quella situazione.
La percezione di correttezza dell’arbitro dipende da come i giocatori ne valutano il livello di competenza, l’indipendenza di giudizio e il rispetto verso le squadre. E non diciamo che "È uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve pur fare!"
Franco Ludovisi (domenica, 29 giugno 2014 23:38)
Il mio silenzio è dovuto ad una breve vacanza: sono tornato ed approvo tutti gli inserimenti di chi vuole far notte parlando (o per adesso scrivendo) di baseball. Ezio era già papabile da tanto. E poiché in queste discussioni è lecita ogni opinione, anche se confutabile, allora non escluderei nessuno, proprio nessuno, nemmeno se si chiamasse Riccardo.