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Nel 2013 è ancora la Warner Brothers ad impegnarsi su quel profondo cuore palpitante ed incisivo volto statunitense che è il baseball distribuendo nelle sale il film “42” ovvero la storia di Jackie Robinson che fu il primo giocatore di colore a giocare con i Brooklin Dodgers in Major League. Scese in diamante il 15 aprile del 1947 e fu l’inizio di una coraggiosa battaglia contro il razzismo. Nonostante il generoso apporto durante la seconda guerra mondiale e quella che fu la guerra di Secessione, la popolazione di colore non era ancora riuscita a sfumare e sdrammatizzare gli aspetti negativi di quella società che pur si accingeva ad ergersi paladina di una difficile democrazia tant’è che sino ad allora tutti i giocatore in Major erano stati solo ed esclusivamente bianchi.
Questo film biografico, e quindi storia vera, ancora una volta narra la storia di Branch Rickey, l’allora leggendario General Manager, ed interpretato in modo magistrale da Harrison Ford in odore di Oscar, e di Jackie Robinson cui presta volto e stile un Chadwick Boseman al di sopra delle righe con l’aiuto in controfigura ed in alcune scene dall’ex giocatore delle leghe minori Jasha Balcom. Ho detto ancora una volta poiché in verità il film “42” (era questo il numero di casacca che delineava Robinson) è la terza versione della storia.
La prima, “The Jackie Robinson Story” infatti, è certamente quella più veritiera visto che fu realizzata nel 1950, appena tre anni dopo l’evento, ed interpretata dallo stesso Robinson con Ruby Dee e Minor Watson a personificare rispettivamente la moglie Rachel ed il General Manager Rickey.
La seconda versione, “ Soul of the Game” (1996), con Blair Underwood a dare vita a Robinson su sceneggiatura di Gary Hoffman e David Himmelstein, e diretto da Kevin Rodney Sullivan, ha invece il pregio di una profonda analisi in quei difficili anni di quella che fu la Negro League Baseball. In televisione l’autobiografia di Jackie Robinson apparve il 28 settembre del 1963 con Mike Wallace quale ospite.
Ma il connubio tra cinema e baseball ha origine antiche a partire dal 1898 quando la Edison Manufacturing Company produsse “The Ball Game” un cortometraggio muto in bianco e nero su una sola bobina esclusivamente in stile documentaristico.
L’anno successivo, 1899, la Edison realizzò “Casey at the bat”, una ironica ed appariscente contestazione di un battitore contro l’arbitro dopo essere stato giudicato Strike out e quindi senza alcun riferimento alla famosa omonima ballata scritta dal poeta Ernest Lawrence Thayer (1863-1940). Narra la storia che le parole usate per questo corto di 8 minuti siano state 70.
In seguito invece il poema inerente la irriverente ed immaginaria storia di Mighty Casey, atletico e piacente giocatore di baseball che nel momento top della gara perde il suo innato talento scontentando pubblico e se stesso, ebbe interpretazioni e vita nel 1913 in un corto diretto da James Young e prodotto dalla Vitagraph Company of America.
La ballata, uscita sulle pagine del San Francisco Examiner il 3 giugno del 1888, con ironia ed appropriato slang divenne di fatto l’incipit dell’interesse popolare del gioco del baseball e sia il mondo del cinema sia del teatro più volte ed a piene mani hanno conformato lo spirito dell’idea a spettacolo puro. Così nel 1916 è l’attore-regista Lloyd Ingraham a realizzare un film, sempre muto ed in bianco e nero, su Casey.
Sotto un clip tratto da The Ball Game (1898)
Poi nel 1922 è la volta di Lee De Forest ad interessarsi del personaggio in un cortometraggio in bianco e nero e nel 1927, diretto da Monte Brice, il film “Casey at the bat” viene prodotto dalla Famous Players Corporation e distribuito dalla Paramount.
Posto nell’oblio il cinema muto, ecco che “Casey at the bat” si esalta nel 1946 in un corto di 9 minuti supervisionato dalla Walt Disney Production e diretto da Clyde Geronimi.
Sulla colonna sonora il canto di Jerry Colonna schiude i segreti della ballata e le scene realizzate dai cartoonist Homer Brightman ed Eric Gurney elevano il filmato al primo posto in senso assoluto tra i film inerenti il baseball.
E Mighty Casey ancora oggi si fa rivivere grazie a Tim Wiles, direttore della ricerca per la National Hall of Fame and Museum, che recita la ballata in una sua personale interpretazione visibile anche su youtube.
Articolo pubblicato il 14 gennaio 2015
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