Per la diffusione del baseball e l’affermazione del “New York game” non fu poi di secondaria importanza il ruolo giocato dalla stampa specializzata. L’ampio spazio riservato al baseball sia sui settimanali che sui quotidiani newyorchesi diede infatti grande risalto alla popolarità del gioco: pur presentando infatti anche resoconti sul townball e sul “Massachusetts Game”, a New York i periodici sportivi (come il New York Clipper, lo Spirit of the Times, il Porter’s Spirit of the Times e il Wilkes’ Spirit of the Times) e alcuni fra i più prestigiosi quotidiani (New York Times, New York Herald, Brooklyn Eagle) affidavano gran parte del loro spazio alla versione in voga a Brooklyn e Manhattan.
Ma più che la stampa, gli sforzi individuali o le rivalità tra i club, il ruolo chiave per l’avvento del baseball nella sua versione “New York game” fu rappresentato dal fatto di aver presto raggiunto un’organizzazione centralizzata e stabile, in grado di assicurare una certa omogeneità e uniformità al gioco: parliamo ovviamente della NABBP, della cui enorme importanza abbiamo già parlato diffusamente sopra.
Un ultimo, cruciale fattore che permise la crescita del “New York game” è rappresentato dal richiamo offerto da alcuni eventi sportivi di particolare rilevanza, tra cui spiccano soprattutto le partite per l’assegnazione del titolo “ufficioso” di campione di Brooklyn del 1860.
La serie tra Excelsiors e Atlantics si era aperta il 20 luglio, esattamente a metà del tour dell’Excelsior Club: in quell’occasione la squadra di Creighton ebbe agevolmente la meglio, ma nella seconda gara, disputata fuori casa all’Atlantic Club Grounds, gli Excelsiors videro interrompersi la loro imbattibilità dopo una drammatica rimonta degli Atlantics che fissò il punteggio sul 15-14 finale. Si rese così necessaria la disputa della terza decisiva gara, fissata per il 23 agosto sul campo neutro dei Putnams. Il clima rovente con cui fu prima attesa e poi vissuta quella sfida è testimoniato dal resoconto fornito da Spalding:
«the intense feeling of partisanship that had been engendered by the preceding contests increased as the time for the last game drew near, until it had become very bitter. It permeated all grades of society. Schoolboys, clerks, merchants, manufacturers, workingmen, and members of all the learned professions were profoundly interested. This would have been well enough, but, unfortunately, in those days all Eastern cities were noted for their utterly uncontrollable elements of thugs, gamblers, thieves, plug-uglies and rioters. […]
It happened that public sympathy, as expressed in the views of the disorderly members of society, was strongly in favor of the Atlantics. They proposed that the Atlantics should win the deciding game of the series, and were on the grounds in large numbers for the purpose of securing a result to their liking, either by fair means or otherwise»
Fu così che di fronte ad una massa di 15.000 persone accorse ad assistere alla gara, con gli Atlantics in svantaggio, gli spettatori che avevano scommesso su di essi iniziarono ad offendere pesantemente arbitro e giocatori dell’Excelsior Club fino a provocarne il ritiro, voluto dal capitano J.B. Leggett nonostante al momento della decisione, alla fine del sesto inning, la sua squadra stesse conducendo per 8-6.
Lo scambio di battute che ne seguì resta memorabile, ed è ormai parte integrante del tessuto storico di quei primi anni del baseball.
Recandosi dal capitano degli Atlantics O’Brien per consegnare la pallina dell’incontro, in ossequio alla tradizione che voleva che la squadra perdente donasse la palla del match ai vincitori, Legget disse: «Here, O’Brien, is the ball. You can keep it».
Altrettanto signorilmente O’Brien gli rispose:
«Will you call it a draw?». «As you please», concluse Leggett, chiudendo così di fatto una rivalità storica, visto che le due squadre da quel giorno non si ritrovarono mai più sul diamante, fino all’anno di scioglimento di entrambi i club nel 1871.
L’episodio testimonia da un lato, in modo inequivocabile, la centralità degli eventi newyorchesi e in modo specifico quelli legati a Brooklyn, considerata all’epoca la capitale del baseball. Partite ed accese competizioni andavano sì in scena in diverse regioni, con tornei locali organizzati a livello statale oppure con singole partite o serie disputate presso città e villaggi; ma tifosi e praticanti da ogni dove seguivano con attenzione i match disputati a New York, e riconoscevano la squadra che si laureava campione di Brooklyn come la migliore di tutta la nazione.
La partita tra Excelsiors e Atlantics, segnalandosi come il primo episodio violento registrato nella storia del baseball, dimostrava però anche che il gioco si era ormai ampiamente diffuso presso le masse, allontanandosi dalle “dita educate” dei primi club di gentlemen e portando a fenomeni di faziosità sugli spalti, scommesse, teppismo e disordini di vario genere.
Dopo aver visto quali furono le particolari condizioni che permisero la diffusione del baseball nella sua versione “New York game”, possiamo provare a fornire alcune spiegazioni di questo successo newyorchese: si identificano a tal proposito due ordini di ragioni, l’uno legato a differenze strutturali nella sintassi del gioco, l’altro al ruolo trainante che svolgeva in quegli anni in ambito sociale, politico e culturale la stessa città di New York.
Quanto al primo aspetto, si evidenzia come il regolamento in voga a New York City incontrò il maggior favore sia dei giocatori che degli spettatori:
Soprattutto tre sono le caratteristiche distintive che a nostro avviso giocarono un ruolo fondamentale: innanzitutto la configurazione del campo a forma di diamante, con le linee del foul a restringere l’area valida per il gioco. Questo permetteva agli spettatori di prendere posto molto più vicino all’azione, potendosi sistemare ad appena pochi metri dal battitore: il coinvolgimento del pubblico era quindi maggiore, e maggiore l’eccitazione che si diffondeva sugli spalti.
Non meno importante era poi la differenza nello svolgimento temporale della partita: se un match giocato sulla lunghezza dei canonici nove inning durava infatti tra le due e le tre ore di media, ben più tempo occorreva per raggiungere le 100 runs che decidevano una sfida del “Massachusetts Game”, le cui partite infatti duravano spesso un’intera giornata.
Appare logico dunque che quest’ultimo fosse largamente svantaggiato riguardo alla possibilità di far presa sul pubblico, specie sulla grande massa dei lavoratori che certamente non avevano a disposizione una simile quantità di tempo: questo aspetto ritornerà prepotentemente in seguito a proposito della “rivalità” tra cricket e baseball.
Da ultimo non fu secondario il diverso meccanismo di alternanza tra le squadre in campo.
Le tre eliminazioni del “New York game”, rispetto alla regola del «one out, all out» della versione Massachusetts, permettevano infatti «more action, more base runners, and hence more tension and drama»: i giocatori avevano più possibilità di recarsi al piatto e potevano così prendere più spesso parte attiva al gioco, avendo altresì ulteriori opzioni strategiche che nel “Massachusetts Game” non erano permesse.
Si pensi ad esempio alle smorzate “di sacrificio”: con questi giochi il battitore si consegna ad una facile eliminazione, limitandosi a toccare la pallina pur di avere la certezza di batterla ed innescare così la corsa dei compagni già sulle basi. Sacrificando se stesso, egli può però permettere ad un compagno di squadra di arrivare a casa base, o comunque di avvicinarcisi.
Ora, se il regolamento prevede che l’inning finisca al primo giocatore eliminato, una simile condotta è di per sé impraticabile, mentre il baseball con i tre outs a disposizione della squadra in attacco permette questo tipo di strategia.
Anche per questo la dinamica ludica che ne risulta è più varia, flessibile e divertente: la ricerca di un maggior “excitement” è insomma un aspetto cruciale nello sviluppo della cultura sportiva americana. A dire il vero anche il “Massachusetts game” aveva dalla sua un paio di aspetti favorevoli, come l’«overhand pitching», ossia la possibilità di lanciare da sopra la spalla, alla maniera canonica di oggi, e la presenza fin da subito della «fly rule».
Non a caso questi due aspetti sarebbero stati adottati, seppur in tempi diversi, anche dal baseball. Non c’è dubbio però che nel complesso la versione newyorchese offrisse un maggiore coinvolgimento emotivo, sia ai giocatori che lo praticavano in campo, sia agli spettatori che ne seguivano lo svolgimento assiepati sugli spalti.
Fu quindi nella sua versione newyorchese che il baseball si diffuse gradualmente su tutto il territorio degli Stati Uniti, facendosi “nazionale” e giungendo ad una posizione solidissima già al tempo in cui sarebbe scoppiata la guerra civile. Prima dell’inizio del conflitto sarebbe riuscito a penetrare anche nelle università, con il primo match intercollegiale tra Amherst e Williams del luglio 1859: l’antico gioco per bambini e ragazzi era ormai pronto per impossessarsi profondamente e irreversibilmente dell’anima e dello spirito di milioni di Americani.
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Tratto da A. Salvarezza, Eccezionale quel baseball! L'origine dell'isolazionismo americano negli sport, Dottorato di ricerca in critica storica giuridica ed economica dello sport (relatore: Adolfo Noto), ciclo XXII, Teramo 2009.
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Robert (lunedì, 18 aprile 2016 17:12)
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