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Perché il baseball vinse sul cricket? - L'ipotesi elitaria

di Andrea Salvarezza

Intorno alla metà degli anni 50 dell’ottocento il cricket in America era prevalentemente appannaggio di piccoli club elitari, ed era giocato soprattutto da immigrati inglesi, finendo così per diventare il passatempo preferito delle élite: l’entusiasmo per il gioco cioè non riuscì mai a propagarsi tra gli strati più ampi della popolazione. Perché il cricket non riuscì a coltivare l’attrazione della massa? Molto semplicemente, non vi riuscì perché non volle coltivarla. In questo fallimento ha giocato un ruolo cruciale l’esclusivismo, inteso come attitudine delle élite depositarie del gioco a tenere per sé l’attività ludica: volendo limitare gli incontri ufficiali solo a quelle organizzazioni che condividevano lo stesso rango sociale, le élite hanno di fatto stroncato ogni possibilità che il cricket diventasse uno sport a diffusione popolare, poiché essendo gli «interclub matches» piuttosto sporadici, non furono in grado di mantenere desto l’interesse verso il gioco. 

Pertanto non si venne mai a creare un sistema di partite organico, che fosse in grado di dare vita ad intense rivalità e di attirare in modo permanente l’attenzione di un gran numero di tifosi e spettatori. Questo fu una conseguenza delle pretese sociali dei club dominati dagli Inglesi,  i  cui  giocatori,  appartenenti  per  lo più alla classe medio-alta, anziché farsi ambasciatori del gioco furono piuttosto un ostacolo insormontabile per la popolarità di esso.

Con la significativa eccezione della zona di Philadelphia, la popolarità del cricket in America risentì dunque dell’esclusivismo dei suoi elitari praticanti. Il gioco, una  volta tagliato fuori dalla possibilità di diffondersi presso le masse, rimase in auge  solo dove l’ansia per il riconoscimento di status era più alta, ossia tra le famiglie benestanti che si prodigarono per stabilire e tenere in piedi una fitta struttura di squadre di cricket rivali.

 

Fu per via dello spirito egualitario che caratterizzava la neonata nazione Americana se le élite economiche si sforzarono di coltivare attività esclusive basate sullo status, con le quali mantenere e rinforzare la propria posizione privilegiata all'interno della società. Il cricket non era l’unica possibilità con cui soddisfare questo bisogno, ma fu comunque uno degli strumenti con cui le élite cercarono di mantenere distinta la loro posizione. 

 

Potrebbe sembrare un paradosso: in un paese ben noto per il suo eccezionale egualitarismo, è stato l’elitismo a causare la scomparsa di un gioco un tempo popolare. In realtà in America il bisogno di appropriarsi di alcuni “social markers”, che fossero in grado di certificare la propria appartenenza di status, era più stringente che altrove proprio perché qui non vi era una classe nobiliare “eletta”, separata per diritto di nascita dal resto della società: così nacque l’attitudine elitaria verso il cricket.

 

In un paese democratico, in cui era virtualmente assente la nobiltà di casta, il gioco divenne un indicatore sociale e come tale fu fortemente “tenuto in pugno” dalle famiglie di derivazione britannica, diventando il segno distintivo di uno status sociale alto. 

 

Appare logico quindi che coloro che detenevano in mano le redini del cricket non si sforzarono di promuoverlo tra la massa della popolazione. Viceversa, i rigidi sistemi di stratificazione sociale esistenti nelle altre colonie inglesi hanno permesso che lì si diffondesse una cultura del cricket «segregated but inclusive»: poiché le gerarchie sociali erano e rimanevano ben segregate, non vi era necessità, per i membri dei gruppi ai vertici della scala sociale, di avvalersi di un ulteriore segno distintivo dalle masse, e quindi essi non si limitarono a coltivare la pratica del gioco per conto loro, bensì lo condivisero con i membri delle classe inferiori

Che nelle aristocrazie le élite non abbiano bisogno di distinguersi, come invece sono portate a fare nei regimi democratici, era del resto chiaro già dalle pagine tocquevilliane dedicate all’«Influsso della democrazia sui costumi propriamente detti»:

 

«Nelle aristocrazie, gli uomini sono divisi gli uni dagli altri da altissime barriere immobili; nelle democrazie sono separati da una quantità di piccoli fili pressoché invisibili, che ad ogni istante vengono spezzati e continuamente riallacciati altrove».

 

Il cricket poté diffondersi con successo come sport nazionale (trasmissione, adozione, acculturazione) nei sistemi in cui i giocatori e il pubblico provenivano da  classi sociali distinte e separate, in cui esisteva cioè una suddivisione aristocratica tra nobiltà e ceti altri.

 

Negli Stati Uniti, ove tale spaccatura non esisteva, le élite sottrassero letteralmente il gioco dalla sfera pubblica, confinandolo alla propria cerchia sociale. Questo accadde in netto contrasto con quanto avvenuto nelle altre colonie inglesi del defunto impero britannico: qui la disuguaglianza razziale,  l’accesso limitato all’educazione secondaria e un sistema di ripartizione delle terre di tipo quasi feudale limitavano fortemente la mobilità socioeconomica. Ergo le élite promossero attivamente il gioco e continuarono a praticarlo anche quando si diffuse tra i membri di rango inferiore della società, facendo del cricket in India, Australia o Sudafrica uno sport popolare giocato e gradito da tutti.

 

La mobilità sociale che caratterizzava la democrazia americana alla metà dell’800 ha portato  quindi  le  élite  a  proteggere  il  proprio  patrimonio  culturale  dalle  masse:

 

sembra insomma che l’uguaglianza delle opportunità economiche promuova, da parte delle élite, gli sforzi di limitare l’uguaglianza di quelle culturali.

 

Segue

 

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Tratto da A. Salvarezza, Eccezionale quel baseball! L'origine dell'isolazionismo americano negli sport, Dottorato di ricerca in critica storica giuridica ed economica dello sport (relatore: Adolfo Noto), ciclo XXII, Teramo 2009.

 

 

La Tesi di Andrea Salvarezza

 

 

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