Il cammino dell’affermazione del baseball (con il contestuale rigetto del cricket), e soprattutto i significati che tale affermazione ha veicolato, lasciano supporre che le ipotesi messe a verifica nel corso della ricerca siano vere. Ma alla luce di quanto analizzato, la scelta degli Americani di sviluppare ed adottare giochi propri appare non solo comprensibile, quanto probabilmente inevitabile. Perché, in altre parole, avrebbero dovuto agire diversamente? Quando le precondizioni resero possibile lo sviluppo e l’affermazione dell’idea moderna di sport, gli Americani avevano di fronte due sole possibili opzioni: da una parte il cricket, dall’altra il baseball. L’uno era caratterizzato da una forte identificazione con la ex madre patria, in un contesto che invece stava sentendo crescere a più livelli l’esigenza di un carattere nazionale autoctono; l’altro al contrario non aveva mantenuto alcun collegamento con l’Inghilterra, da cui pure proveniva.
Il primo aveva una struttura regolamentare pesante, difficile da comprendere, oberata da limiti che ne rendevano sia la pratica che l’esperienza sugli spalti noiose ed impegnative in termini di tempo; l’altro invece era ben noto e familiare in quanto era stato giocato (se non altro in alcune versioni embrionali) durante l’infanzia, ed era capace di coinvolgere maggiormente giocatori e spettatori grazie ad una serie di vantaggi strutturali.
L’uno, inoltre, la cui usanza in fatto di appartenenza multipla ai club ne limitava la capacità di attrarre l’attenzione delle comunità locali, mentre l’altro trovò linfa e supporto proprio grazie all’identificazione che si andò sviluppando tra squadre e comunità di riferimento.
L’uno, in ultima istanza, che favoriva aristocraticamente i più bravi, che potevano restare in gioco molto più a lungo, mentre l’altro offriva democraticamente uguali chance a tutti di ergersi e mettersi in luce e aveva una sintassi capace di esprimere e conciliare due valori di base della democrazia americana, individualismo e associazionismo.
Alla stregua di ciò, e più in generale della situazione eccezionale in cui versavano gli Americani, più che chiedersi perché finirono per sviluppare una cultura sportiva autonoma bisognerebbe semmai domandarsi: «perché no?».
In altre parole, non deve stupire che l’evoluzione dell’universo sportivo ha seguito con gli Americani delle traiettorie “diverse”. Come avrebbero potuto limitarsi a recepire gli sport di derivazione britannica? Come avrebbero potuto fare del cricket il loro National Game?
L’enfasi sulla capacità del baseball di conciliare individualismo e spirito di corpo, recepita parzialmente anche dalla storiografia americana, offre inoltre un punto di vista prezioso per cercare di spiegare un mutamento significativo avvenuto intorno alla metà del XX secolo, quando il football professionistico ha affiancato il baseball in termini di popolarità e gradimento agli occhi del pubblico statunitense.
McLuhan ha spiegato questo cambiamento con il mutato atteggiamento assunto dagli Americani in seguito alla comparsa della televisione: nelle parole del grande sociologo canadese, con «l’avvento della Tv l’isolamento dell’esibizione individuale, tipico del baseball divenne inaccettabile».
Mentre il football, nelle cui azioni di gioco si verificano in contemporanea più avvenimenti, e in cui è sempre coinvolta l’intera squadra, sarebbe secondo questa impostazione uno sport più idoneo all’esperienza mediatica offerta dalla televisione.
Un’interpretazione autorevole come quella di McLuhan non può essere certamente rigettata, ma può essere integrata da una prospettiva diversa. Il baseball, in quanto sport di squadra in cui viene assegnato un ruolo preponderante alla responsabilità individuale, ha incarnato i valori dell’America fondata sui principi contenuti nella Dichiarazione di indipendenza e nella Costituzione, che assegnavano allo Stato un ruolo di intervento minimo, volto solamente a garantire la tutela ed il rispetto dell’iniziativa economica individuale e della società civile. Ma questa impostazione liberista ha subito un notevole cambiamento a partire dal New Deal, in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti propose una lettura innovativa della Costituzione che fece spazio alla crescita del potere centrale interventista.
Può essere allora solo un caso, ma il football, che prevede il raggiungimento dell’obiettivo tramite una serie di sforzi collettivi armonizzati dalla guida dell’head coach, ha acquisito un ruolo così centrale all’interno della cultura sportiva americana solo in seguito alla nuova interpretazione che la Corte Suprema ha assegnato allo Stato.
Che questo sia accaduto per la maggiore capacità del football di incarnare l’America uscita dal New Deal? È possibile, come è anche possibile che l’analogia sia del tutto casuale. Opportune ricerche in questo ambito potrebbero portare a scoprire nuovi orizzonti interpretativi. Ma al di là di questi spostamenti “interni” al panorama sportivo americano, il percorso di ricerca ha effettivamente mostrato che nel caso del baseball l’evoluzione degli antichi sport di derivazione britannica ha seguito in America delle linee di sviluppo assolutamente autonome ed eccezionali.
Si dovrà allora tentare di applicare questo modello anche per spiegare l’affermazione di altri sport americani, come il football (con la separazione da quello europeo che ha condotto ad una assoluta minorità del soccer), per arrivare a rappresentare in modo completo la rassegna degli sport autenticamente americani e dunque “eccezionali”.
Andrea Salvarezza
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Tratto da A. Salvarezza, Eccezionale quel baseball! L'origine dell'isolazionismo americano negli sport, Dottorato di ricerca in critica storica giuridica ed economica dello sport (relatore: Adolfo Noto), ciclo XXII, Teramo 2009.
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