di Frankie Russo tratto da ESPN
Era il 24 agosto 1919, Ray Caldwell vestiva la casacca di Cleveland per la prima volta. Al momento faceva particolarmente caldo e nessuno dei 20.000 presenti poteva immaginare cosa sarebbe accaduto da lì a poco. Una storia mista di disperazione, di terrore, di sopravvivenza e redenzione, con al centro dell’attenzione per le prossime due ore il solo Ray Caldwell. La folla lo applaude mentre Ray sale sul monte e diventa ancora più rumorosa nell’assistere alla sua magnifica prestazione. I tifosi lo conoscono bene, è stato appena tagliato dai Red Sox e la parabola della sua carriera, una volta promettente, aveva quasi toccato il fondo prima di quel giorno. Questa era la sua ultima occasione. Caldwell era soprannominato “Secco” per il suo metro e 89 di altezza e 87 kg di peso, il tutto proiettato a spendere ogni grammo per la sua fastball e micidiale curva. Ma per lo più si avvaleva del suo devastante lancio da eliminazione: uno dei migliori spitball (palla sputata) della lega. All’epoca era ancora un lancio legale.
Cinque anni prima era stato considerato uno dei più promettenti talenti, forse uno dei più grandi lanciatori di sempre prima che cadesse nel vizio dell’alcool.
Nel 1908 Caldwell firmò il suo primo contratto da professionista e due anni dopo giocava già per i New York Highlanders poi divenuti Yankees. Nei primi 4 anni realizzò un record di 38-42 giocando per una pessima squadra. Gli capitò addirittura di lanciare 52 riprese senza concedere punti, ma neanche la sua squadra fu in grado di segnare. Nel 1914 il 25enne Caldwell cambiò le sorti per New York con un record di 18-9 e PGL 1,94 e fu a quel punto che si cominciò a parlare di lui come un uno dei più grandi di sempre.
Poi Caldwell cadde nel vizio dell’alcool che i giornali riportarono come “ abitudini irregolari”. Fu multato e sospeso dalla società per due settimane che divennero sei mesi quando Caldwell rifiutò di ritornare e peggio ancora nessuno sapeva dov’era finito, nemmeno la famiglia. Poi si venne a sapere che aveva trascorso quel periodo giocando a Panama sotto falso nome.
Ritornò con gli Yankees per due anni ma non si era liberato dal vizio dell’alcool tanto che la società lo faceva seguire da due mentori incapaci però di tenerlo lontano dalla bottiglia.
Fu così che nel 1919 fu ceduto a Boston dove nei primi tre mesi ottenne un record di 7-4 e PGL di 3,96. Ma quando la squadra andò in trasferta la società commise il grave errore di sistemarlo nella stessa stanza di Babe Ruth altro grande bevitore.
Ad inizio agosto Caldwell fu di nuovo tagliato.
Il giocatore/manager di Cleveland Tris Speaker con all’orizzonte la possibilità di arrivare ai playoff, volle dare a Rayl ancora un'opportunità. Fu allora che a Caldwell fu proposto un contratto per i Cleveland Indians, contratto considerato uno dei più bizzarri della storia.
Caldwell lesse attentamente il documento e a un certo punto fece presente che mancava la parola, “NON”. Infatti nel contratto era scritto che "Poteva bere dopo ogni partita giocata". Il manager allora gli spiegò che il regime consisteva nel bere dopo ogni partita giocata per poi dormire a suo piacimento il giorno dopo per smaltire la sbronza senza essere obbligato a recarsi al campo. Ma il secondo giorno doveva stare al campo e correre per tutto il tempo ritenuto necessario dal manager. Tre giorni dopo la prestazione poi Caldwell doveva tirare il batting practice. Una formula molto semplice: Lanciare, Bere, Dormire, Correre, BP. Caldwell firmò e dopo cinque giorni era sul monte per gli Indians determinato a ben impressionare la sua nuova squadra.
Quel 24 agosto 1919 contro i Philadelphia Athletics, Caldwell aveva il pieno controllo dei suoi lanci, in particolare della sua “spit" con cui per due ore aveva ipnotizzati gli avversari avendo concesso solo quattro valide e una base su ball nelle otto riprese lanciate.
Ma poi all’improvviso il cielo si oscurò. I giocatori di Cleveland erano abituati a questi cambi di temperatura intorno al Lake Eire e quindi si affrettarono a rientrare in campo prima che le cose peggiorassero. Caldwell salì sul monte e ottenne due facili eliminazioni con due pop nel campo interno, ne mancava ancora una. Poi in un attimo, il vento ululò e lo stadio tutto viene investito da una violentissima tempesta. E mentre Caldwell si appresta a lanciare, dal cielo arriva un fulmine. L’interbase Ray Chapman cade a terra e sente una scossa elettrica che gli attraversa la gamba mentre la luminosità del fulmine costringe tutti i giocatori a stendersi a terra. Il ricevitore si toglie la maschera e la butta lontano per paura che potesse attirare altri fulmini.
Nei successivi cinque secondi i giocatori si guardano intorno, gli otto giocatori di posizione stanno tutti bene ma il loro nuovo compagno sembra proprio di no. Caldwell è steso a terra, supino sul monte con le braccia aperte. Caldwell è stato colpito dal fulmine. Tutti i giocatori accorrono sul monte; il prima base lo tocca ma viene buttato in aria raccontando dopo di essere stato colpito da una scossa elettrica dal corpo di Caldwell. Quindi tutti fanno un passo indietro e fissano il compagno a terra. Il petto di Caldwell, dove c’era un bottone metallico della casacca, sta ora bruciando. Sono tutti terrorizzati all'idea di toccarlo, e nessuno lo fa. Mentre tutti si chiedono: Ma Caldwell è vivo o morto?
Sembra essere un racconto del medioevo. Può un uomo davvero sopravvivere a un colpo di fulmine così violento o come si dice in gergo “diretto”? La risposta è SI. Questo perché il fulmine è uno dei più strani fenomeni naturali. Molti si chiedono se il fulmine parte da terra per salire verso il cielo, ma è una illusione ottica, la verità è proprio il contrario. Un fulmine può essere paragonato al Wi-Fi al contrario. Il Wi-Fi parte da terra alla ricerca di un dispositivo per connettersi e trasmettere i segnali via aria, così come il fulmine parte dal cielo e cerca un dispositivo a terra da colpire che spesso sono i pali metallici, alberi o anche persone nelle vicinanze. Raramente, però, si verifica un “un colpo diretto” del fulmine su una persona come accadde a Caldwell. Ma è pure possibile che la pioggia e il sudore abbiano potuto rafforzare le probabilità di Caldwell a diventare un ricevitore di fulmini. Non è da escludere nemmeno che Caldwell avesse addosso anche sostanze oggi denominate “appiccicose” (BOTR 17/6/21) che si usavano anche in quel periodo per truccare i lanci.
Sostanzialmente però, il 1919 rappresenta la rinascita di Ray Calwell in tutti i sensi. Tre settimane dopo essere stato colpito dal fulmine e poi ottenendo il terzo eliminato, Caldwell lanciò una no-hitter contro gli Yankees, finì la stagione con un record di 5-1 e 1,71 di PGL.
Gli Indians credevano ormai di avere tutte le carte in regola per puntare sulle World Series del 1920. L’anno successivo, infatti, insieme al nuovo lanciatore Stan Coveleski, anch’egli dotato di una micidiale “spitball”, i due combinarono per un record di 44-24 con 46 gare complete e gli Indians si conquistarono il loro primo titolo delle WS sconfiggendo i Brooklyn Robins.
Nel 1921 Caldwell va di nuovo in crisi, secondo molti a causa della ricaduta nel vizio dell’alcool e dopo essere stato spostato nel bullpen senza alcun miglioramento viene di nuovo tagliato. Caldwell continua a giocare nelle minors per altri 12 anni ottenendo 140 vittorie. Nella sua ultima stagione nella Mississippi Valley League, Caldwell ha 43 anni, è al suo quarto matrimonio ed è già nonno. Dopo il suo ritiro nel 1933, Caldwell ha guadagnato abbastanza per trasferirsi in campagna per curare la terra e tenere clinic di baseball per i giovani.
Caldwell è morto nel 1967 ma rimane ancora uno dei giocatori più affascinanti per gli storici del baseball. Tra le majors e minors Caldwell ha ottenuto 292 vittorie con 4.400 inning lanciati, ha speso un breve periodo come compagno di stanza di Babe Ruth, ha giocato sei mesi in America Centrale sotto falso nome, ha sottoscritto uno dei più strani contratti che la storia ricordi, e naturalmente ottenuto una vittoria dopo essere stato colpito da un fulmine.
Ray Caldwell resta uno dei più simpatici e nello stesso tempo uno dei più complessi giocatori che abbiano mai giocato a baseball.
Frankie Russo
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