Per conoscere e delineare l’intrigante personalità di Mike Joseph Donlin bisognerebbe spolverare gli annali sportivi del baseball e quelli teatrali di Broadway e cinematografici di Hollywood poiché il personaggio Donlin in tutti questi segmenti è stato seguito, idolatrato ed amato. Nato a Peoria nell’Illinois il 30 maggio del 1878, dopo una gioventù sofferta per via della morte di entrambi i genitori in un incidente ferroviario, barcamenandosi in svariati lavori e giocando a baseball in squadre di Minor, Mike con studiata spavalderia e forte personalità fece di tutto per farsi notare come talentuoso battitore dagli scouts e debuttò nel sognante mondo della Major League con i St. Louis Perfectos il 19 luglio del 1899 nel ruolo di esterno centro. In questo edulcorato mondo restò dal 1899 al 1914 andando ad indossare le casacche degli Orioles di Baltimora, dei Red Sox di Concinnati, dei Rustlers di Boston e dei Pirati di Pittsburgh ma soprattutto dei Giants di New York dove si sublimò vincendo due World Series sotto la carismatica guida del sapiente John McGraw. (Nella foto a sx Daniel Frohman, produttore di Broadway e Mike Donlin)
Al termine della sua carriera il suo personale palmares si arricchirà con una media battuta pari a 0.333, con 51 fuoricampo e ben 543 RBI, pur avendo giocato complessivamente solo 1.049 partite totali, classificandosi così al 28esimo posto di tutti i tempi e risultando tra i primi tre battitori in ben cinque stagioni agonistiche.
Indiscutibilmente Donlin è stato un personaggio ben attagliato alla società statunitense dei primi del 1900, periodo evolutivo in atto negli Stati Uniti, poiché il suo modo di presentarsi era studiato e sopra le righe ostentando sempre una presunta superiorità mista ad un divertente temperamento non disgiunto da una individualità arricchita da uno sgargiante stile sia nell’abbigliamento e sia lì nel box di battuta tanto da essere celebrato dal suo pubblico come “l’idolo del baseball di Manhattan”.
Ma l’idolo aveva in sé anche il disdicevole lato oscuro conformato da una forte sudditanza all’alcool che non poche volte limiterà le sue prestazioni tanto da comparire nei suoi contratti di ingaggio la postilla del divieto di bere prima delle gare in cui sarebbe stato impegnato
Purtroppo nel 1906, a seguito della rottura di una caviglia scivolando in seconda base ed al suo modo arrogante nel richiedere il corrispettivo economico a John Brush, attento ed avaro proprietario dei Giants che glielo negò, lasciò il diamante e nella piena convinzione di essere un predestinato in ogni sua attività con la moglie Mabel Hite iniziò a calcare i palcoscenici di Broadway con la commedia “Stealing Home” da lui stesso scritta a quattro mani con la consorte.
Incominciò allora ad interessarsi così di teatro e di quel nuovo stile di vita che ne derivava ma poi, quando incominciò a scemare l’effimero successo del teatro, cercò di rientrare, senza alcun considerevole successo però, nei ranghi della Major League. La realtà è che l’essere stato attratto dalla prospettiva di diventare un attore di rango aveva interrotto in modo definitivo la sua mentale scia innegabilmente talentuosa nel baseball della Major League.
Tuttavia spirito libero ed allegro, e convinto sostenitore di poter fuorviare l’attenzione degli avversari tramite le parole, e lui possedeva un eloquio brillante, di lui ancora si ricordano alcuni approcci scherzosi attuati durante alcune gare di cartello. E tutti tesi ad innervosire gli avversari ed a procurare benefici alla propria squadra.
Confessò in seguito ad un cronista del “New York Sun” che era solito infatti, da grande artista, prima della gara, muoversi con due o tre compagni di squadra verso il luogo dove il lanciatore avversario si stava riscaldando e poi senza darne peso apparente rivolgendosi ai suoi compagni incominciare a gettare zizzanie e pettegolezzi su cosa quel lanciatore avrebbe detto sugli immortali uomini dei monti di lancio come Christy Mathewson, Bugs Raymond e così via. Quel lanciatore, arrabbiato per quella calunnia, ovviamente diceva di non essere stato lui ma l’alzata di spalle di Donlin che indicava i suoi partner come testimoni lo rendeva ancora più furioso e, il più delle volte, si era verificato che, quando incominciava a lanciare, non era più in grado di controllare i suoi lanci.
Un altro trucco geniale da lui attuato è stato quello di convincere il giocatore più scarso del roster della squadra, mandandolo in battuta al primo inning, ad offendere con un pesante alterco il giocatore avversario più quotato e portarlo egli estremi sino a quando l’umpire non li avrebbe espulsi entrambi. I risultati? Le squadre avversarie da subito si sarebbero private della prestazione del loro miglior giocatore.
Dunque a giudicare: il pirotecnico Mike Dunlin è stato un convincente attore sul campo di gioco o un miglior giocatore di baseball sul palcoscenico del teatro, visto poi che la commedia “Stealing Home” era incentrata tutta sul tema del baseball? In verità non ci sarà mai una risposta esauriente poiché è vero che la sua mente e la sua personalità in fin dei conti si sono trovate a distruggere le sue illusioni ma dopo c’era sempre stato il risvolto del suo cuore che ha sempre cercato pazientemente di ricostruirle anche se mai nulla fu portato a buon fine.
Così Mike Donlin, che sarebbe potuto diventare una icona del baseball se non avesse interrotto il suo iter sportivo nemmeno è riuscito infine a diventare un apprezzato attore hollywoodiano nonostante sia apparso come caratterista in ben 21 film. Rimase però legato a questa chimera e ad Hollywood dove scomparve nel 1933.
Michele Dodde
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Marcella (mercoledì, 19 gennaio 2022 20:14)
È il caso di dire " Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa cosa lascia non sa cosa trova "?
Maria Luisa Vighi (giovedì, 20 gennaio 2022 10:44)
Convincente attore sul campo di gioco o ottimo sportivo di baseball sul palcoscenico! Ottima immagine per una vita divisa...!