Nato il 9 settembre del 1857 a Gratiot nel Wisconsin, Abner Frank Dalrymple per mentalità dell’epoca e necessità familiari inizia a lavorare nella costruzione di una ferrovia all’età di 14 anni imparando a giocare a baseball con i più grandi durante le pause del lavoro. In possesso di un innato talento da ambidestro Abner diventa un giocatore professionista all’età di 21 anni debuttando nell’allora Major League il primo maggio del 1878 con i Grays di Milwaukee. Il suo debutto da rookie fece scalpore e venne subito incastonato con una media battuta pari a 0,354 che resterà in definitiva il record della sua carriera e che però alcuni esegeti lo andranno poi a contestare a favore di Paul Hines forte di un 0,358. Ma questo solo dopo quando furono prese in considerazione e validate anche le prestazioni durante le partite terminate in pareggio. Subito il successivo anno, e poi sino al 1886, andrà ad indossare la divisa dei White Stocking di Chicago ed in seguito indosserà i colori degli Alleghenys di Pittsburgh, antesignani dei futuri Pirati, per finire la sua carriera con i Brewers di Milwaukee il 2 ottobre del 1891. Temutissimo battitore, la leggenda racconta che nel 1881 se Abner, secondo il lineup, si fosse presentato nel box di battuta con le basi già occupate da tre corridori, i manager delle squadre avversarie al fine di accettare il male minore, ordinavano ai propri lanciatori di concedergli la base intenzionale anziché permettergli di battere la pallina.
Ma la realtà è ben diversa però poiché ben 22 home run, su 43 accreditatigli, sono stati realizzati a Chicago presso il West Side Park, campo di gioco dei White Stocking, che in quel periodo aveva una forma simile ad una vasca da bagno, quando, con giusta scelta, era riuscito a randellare la pallina verso la zona dell’esterno destro. Questo Park, a causa di una non chiara e buffa urbanizzazione, era delimitato a sinistra ed al centro alla considerevole distanza di 170 metri mentre si riduceva drasticamente a destra sino a 64 metri
Chi è stato dunque questo tale Abner Dalrymple?
Con il suo ammirevole disincanto ed ironia egli è stato un veritiero testimone di un baseball di fine ottocento, ovvero di quell’inverosimile ed intrigante baseball tutto particolare sia per i campi inventati e sia per le escogitate attrezzature ma soprattutto anche per le spassose improvvisazioni, i sotterfugi, le regole scritte e poiché tali da non rispettare, e giocato in gare rese molto difficili da dirigere poiché giudicate da un solo umpire, mal selezionato perché farcito da statistiche redatte da giornalisti compiacenti ed anche perché quello era un baseball sanguigno e virulento che appagava il giusto spettacolo richiesto ed amato sia da quei spettatori asintomatici e sia da quelli appassionati.
Nella foto sotto (John Joseph Burdock detto Jack Nero)
Ovvero quello era il periodo in cui ai giocatori sembrava tutto permesso sotto il sigillo di “se giochi onesto, vuol dire che non stai giocando” ed è rimasto indelebile nel dorato libro dei ricordi anche il particolare modo di intendere il gioco perché, dopo il giro di boa avvenuto nell’ormai famoso 1920, quel baseball che era il gioco di strada diviene gioco da salotto, da rude opportunista si presenterà come una raffinata presentazione, da ingannevole e subdolo si sublimerà in leale e signorile smacchiando prestazioni che di fatto erano e rimarranno comunque appannaggio dei giochi giovanili.
“Certo che allora era un bel divertimento per noi giocatori inventarci delle anomalie al gioco – ebbe a confessare Abner Dalrymple ad un giornalista sportivo del “Billings Gazette” del 23 settembre del 1928, cioè dopo 37 anni dalla sua ultima apparizione sui campi – perché noi il baseball lo vivevamo ed eravamo disposti ad attuare ogni sotterfugio pur di ottenere un vantaggio”.
Infatti poi, dopo aver con grande distacco precisato che per il suo divertimento veniva anche pagato con ben 300 dollari, andò a rovistare, per la gioia del cronista e dei lettori, alcuni fatti tra i più gaudenti a lui noti, ad iniziare da quello inerente la tenebrosa figura di John Joseph Burdock detto Jack Nero, seconda base dei Boston Red Stockings.
Era questi un sanguigno difensore che, al fine di evitare che un corridore dalla prima base andasse a rubare la seconda senza alcuna conseguenza, pensò opportuno portarsi in tasca diverse manciate di ghiaia acuminata che poi spargeva sapientemente intorno al cuscino di base.
Indubbiamente era un atto brutale quello attuato da Burdock però quando si scoprì il trucco, e già molti giocatori si erano feriti ad una gamba o alle mani o al viso, scivolare su quella seconda base era diventato una pericolosa prestazione da evitare. Lui, finto tonto, si era creata una brutta fama ma la sua base non fu più violata con una scivolata.
Poi raccontò la vicissitudine degli umpire che allora, non solo dovevano dirigere le gare da soli, ma erano costretti ad affrontare e/o a subire le discordanze tra i loro giudizi e quelli dei manager e giocatori oltre alla marea di un pubblico, più emotivo che mai, e che nei loro confronti non usava mai guanti bianchi. E disse: "Tra questi ricordo bene Ted Sullivan. Stava dirigendo la partita a St. Louis il 15 ottobre del 1885, in cui le squadre erano i miei White Stockings della National League e i St. Louis Browns dell'American League. Era una gara di cartello molto seguita. Ad un certo punto l’umpire, con due decisioni in rapida successione, scontentò tutti tanto che Charles Comiskey, manager dei Browns, voleva togliere la sua squadra dal campo in segno di protesta per quelle decisioni. Incominciarono dei disordini causati anche dal pubblico ed io, che ero in campo come esterno sinistro, mi appoggiai alla recinsione, sotto il sole, godendomi lo spettacolo. Poi ho visto l’umpire Ted Sullivan correre verso di me inseguito dalla folla infuriata, scavalcare la recinsione sopra la mia testa e scomparire. Io ho fatto finta di aiutarlo, ma gli ho anche rifilato un buon pugno, così a prescindere. A tarda notte in albergo Sullivan prese la decisione di dare partita vinta ai White Stockings, dichiarando che i Browns l'avevano persa perché loro, i Browns…. avevano lasciato il campo!!!”.
Infine, con fare sornione, delineò da par suo come una delle sue più strampalate azioni avesse fuorviato la decisione di un umpire e fatto vincere la sua squadra. Era una gara di fine stagione agonistica del 1880 e i White Stockings stavano incontrando i Bisons di Buffalo.
Al nono inning i White erano in vantaggio di un punto quando il lineup dei Bisons, già con due giocatori out, toccando la pallina con due valide e quattro ball era riuscito ad occupare tutte e tre le basi e dunque pronto a ribaltare il risultato.
In questa fase al box di battuta si va a presentare Ezra Ballou Sutton, temuto battitore, che da par suo riesce ad incocciare la pallina del primo lancio con un furioso wallop e la tesa traiettoria della stessa era diretta nella precisa posizione dell’esterno sinistro Abner che con un balzo cercò di catturarla. Questa però passò veloce sulla cima del guanto superando la recinzione. Tuttavia dopo il salto, nell’atterraggio Abner, analfabeta come tanti ma furbo come pochi, mise bene in evidenza una pallina con il braccio alzato ed incominciò a correre felice in direzione del campo interno coinvolgendo di fatto la decisione dell’umpire che giudicò la pallina presa al volo con conseguente eliminazione del battitore e chiusura della gara a favore dei White. Non ci fu alcuna recriminazione se non l’esultanza dei White…
Allora cosa era successo? Parziale enigma fu risolto quando al termine della gara un giovanissimo fan dei White, che raccoglieva cimeli della propria amata squadra, si recò nella Club House dei giocatori e chiese se era possibile che Abner gli donasse la pallina vincente con autografo.
Con un sorriso tra il gioviale e l’ironico gli fu risposto dal tenebroso e duro manager Adrian Constantine “Cap” Anson con il dire:” Ragazzo, se stai cercando quella pallina che Dal ha preso al nono inning, stai pur certo che sta ancora volando e chissà dove starà arrivando…”
“La verità – seguitò a raccontare al giornalista il buon Abner – era successo che la pallina che aveva battuto Ezra aveva realmente superato il mio guanto ma, approfittando di una crescente foschia che stava invadendo il campo di gioco, al termine del salto con studiata abilità presi una pallina, che portavo sempre dentro la mia casacca per qualsiasi evenienza, e fu quella che misi spavaldamente in mostra. Alcuni anni dopo uno scrittore parlò di quell’evento come un’Opera Spettacolare o meglio Baseball Magico e forse oggi qualcuno potrebbe dire che quello era un baseball non corretto e subdolo…ma allora il baseball, quel baseball, aveva i suoi trucchi e ne ricercava altri e credo che tutti nel nostro gruppo, all’infuori di William Ashley “Billy” Sunday, che già a quei tempi era in qualche modo un predicatore evangelista, si sarebbero comportati come me. "
Dell’onda lunga di quel Baseball Magico ha resistito per molto tempo solo il mito della pallina nascosta ma quel baseball d’antan ha rappresentato un tempo e uno stile di gioco che è sì completamente diverso dal baseball di oggi e che può sembrare anche strano che sia esistito ma di certo è e rimane una significativa parte integrante della storia del gioco. E Abner Dalrymple, che ne è stato uno tra i protagonisti più amati dal pubblico, non ha avuto alcuna remora nel raccontarlo.
Morì nel 1939 all'età di 81 anni.
Michele Dodde
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