Con il suo secondo libro inerente il baseball praticato in Giappone Filippo Coppola da par suo schiude finalmente un’ampia finestra su un mondo che anche ai molti appassionati del gioco antico è sconosciuto. Con una considerevole ed ampia ricerca, precisa nei contenuti e conoscenza della storia, e soprattutto poi con uno stile asciutto, sintetico e privo di edulcorazioni mirate poiché tutti sono sullo stesso piano di ammirazione, va ad identificare personaggi carismatici che grazie al loro aspetto sabermetrico, e di certo fuori dai comuni canoni, via via emergono come fossero raccolti in un magico album di fiabesche figurine. Avvalendosi dell’uso monogatari (物語 "racconto") ovvero di un antico e particolare genere letterario molto sentito nella tradizione giapponese poiché trattasi di una narrazione in prosa paragonabile all'epica, l’autore elegantemente mette da parte il tsukuri monogatari (作物語 “racconto di finzione”), dove la componente narrativa svolge il suo ruolo fondamentale nella narrazione, andando a privilegiare lo uta monogatari (歌物語 “racconti poetici”) poiché il suo dire si sviluppa poeticamente intorno ai personaggi che lo hanno affascinato e ne evidenzia gli incredibili momenti di pathos coinvolgendo affettuosamente anche il lettore poiché il baseball giocato nella terra del sol levante non è nell’applicazione ideologica e formale come quello più conosciuto a stelle e strisce ma anzi è farcito dalla nobile tradizione del rispetto e soprattutto conformato su quell’ombra lunga lasciata dallo spirito concettuale dei samurai.
Colpiscono così e destano interesse le vicende vissute da questi personaggi che tra gli eventi e le loro scelte delineano il mondo sociale in cui sono vissuti e lo sviluppo del baseball come patrimonio culturale.
Tra queste sublime è la storia nella storia dell’eclettico giocatore Isao Harimoto, o meglio Jang Hun di etnia “Zainichi-Coreana” poiché sì nato in Giappone ma da emigranti genitori coreani, in quanto giocherà per ben 23 stagioni nella Major League Nipponica inanellando diversi record di prestigio pur avendo giocato privo quasi totalmente della mano destra ma soprattutto per essere stato un incredibile sopravvissuto.
Infatti a quattro anni il piccolo Isao per un banale incidente subì gravi ustioni alla mano citata che si deformò irrimediabilmente ma è a cinque anni che la sua incredibile buona stella prese a risplendere ad Hiroshima, dove viveva con la famiglia, quando casualmente schermato dall’ombra della vicina montagna risulterà completamente illeso alle conseguenze nucleari dell’esplosione della bomba atomica in quel triste 6 agosto del 1945.
Determinato si impone già come battitore e lanciatore tra le squadre del liceo sino ad essere poi scelto per il debutto nella Major League Nipponica all’età di 19 anni. Riflessivo e puntiglioso non dimenticò mai la terra d’origine dei genitori tanto da ricevere dalla Corea l’ambita medaglia al merito dell’Ordine dello Sport Sudcoreano, la “Mengho” (feroce tigre) e passato poi alla cronaca con il soprannome “Katsu”, suo personale grido di sollecitazione rivolto ai propri compagni di gioco.
Ancora la figura di Masaaki Koyama che si vede proiettato verso l’eternità dall’astronomo Tsutomu Seki che, per dimostrare quanto fosse profonda verso di lui la stima ed ammirazione, chiamerà con il suo nome un asteroide da lui scoperto: “Amor 13553 Masaakikoyama” unitamente alle prestazioni di Tetsuya Yoneda che per la sua consistenza sul monte di lancio verrà chiamato “The Human Tank” o la storia reversa dell’afroamericano Jackie Robinson attagliata perché patita dal “nisei” (termine usato dai giapponesi per indicare i figli di genitori nipponici nati in America) Wally Yonamine, scritto all’anagrafe Wallace Kaname Yonamine, visto suo malgrado dai tifosi permeati dalla controversa mentalità degli anni cinquanta come l’americano che ha servito nell’esercito avversario e quindi come un nemico ostile oltre che traditore essendo di origine giapponese. E tuttavia è registrato come il primo giocatore di scuola americana a giocare nella Major League Nipponica.
Ed ancora poi a dare lustro alle prodezza del carismatico interbase Yoshio Yoshida chiamato a fine carriera a plasmare la sua filosofia del gioco, dal 1989 al 1995, alla guida della nazionale francese ed a non sottacere la magnifica ascesa del predestinato Shigeo Nagashima che da brutto anatroccolo nell’esordio in Major in un famigerato aprile del 1958 diventerà un immaginabile cigno ed essere osannato come Mr. Giants, ovvero in simbiosi con la squadra Yomiuri Giants di Tokio che ha sempre avuto fiducia nelle sue potenzialità e poi via con molti altri personaggi per finire in una significativa adorazione del pitcher Kazuhisa Inao, giovane figlio di pescatori fortificatosi nel corpo e nella mente tra i marosi imparando a raccogliere se stesso solo attimo dopo attimo o meglio inning dopo inning. La sua freddezza, divenuta proverbiale, lo ha fatto infine promuovere eroe del monte di lancio con i tifosi a ritmare “Kami-Sama, Hotoke-Sama, Inao-Sama” ossia “Dio, Buddah e poi Inao” dicendola tutta su questi scelti personaggi che bene specchiano un baseball nipponico passato e che forse è anch’esso oggi in continua evoluzione pur nel rispetto delle ataviche tradizioni.
Ed il libro “Monogatari”, tutto da leggere con interesse, lascia finalmente aperta la finestra alla conoscenza come se si scoprisse un nuovo mondo, ma questo solo l’acume di Filippo Coppola potrà confermarlo.
Michele Dodde
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Paolo Bossi (mercoledì, 16 marzo 2022 22:46)
Veramente un mondo speciale quello giapponese, anche nel baseball. E una recensione non facile da scrivere, a meno di possedere una curiosità speciale.
Beppe Guilizzoni (giovedì, 17 marzo 2022 19:16)
Mi mancava . Lo cerchero' subito. Grazie Michele