Indiscutibilmente l’imperativo categorico dell’estroso William Louis “Bill” Veeck, proprietario nel tempo di diverse franchigie tra cui i Cleveland Indians, ora riposti nel dimenticatoio a favore dei Guardians, dei Chicago White Sox e dei St. Louis Browns deve essere sempre stato quello di “attrarre più spettatori sulle tribune a dispetto di tutto”. Nonostante le ferite riportate indossando la divisa dei marines durante gli eventi della seconda guerra mondiale, e che lo hanno costretto ad usare una gamba di legno per il resto della sua vita, gli piaceva spesso infilarsi la divisa della squadra di cui era proprietario e sedersi nel dugout per sentire da vicino l’andamento emotivo da provocare poi presso gli spettatori. Trovate come quelle di ingaggiare personaggi come Lawrence “Larry” Eugene Doby, secondo giocatore afroamericano ad abbattere la barriera razziale dopo Jackie Robinson ma il primo a passare direttamente dalla Negro League alla Major League, di far debuttare sul monte di lancio come rookie, proveniente anch’esso dalla Negro League, il sorprendente lanciatore Leroy Robert “Satchell” Paige alla venerabile età di 42 anni, di organizzare partite mattutine per accaparrare spettatori soggetti ai turni serali, di permettere ad affiatate coppie di sugellare il loro matrimonio lì sul piatto di casa base o di far suonare durante la gara complessi di jazz la dice lunga sulla sua voglia di voler cercare sempre di assemblare uno spettacolo nello spettacolo tanto da essere poi orecchiato come il “Barnum del Baseball”.
La sua più stravagante trovata, o meglio geniale trovata, fu però quella realizzata il 19 agosto del 1951 quando era al timone amministrativo dei Browns di St. Louis. Era sua ferma intenzione aumentare il numero degli spettatori che si stava attestando in quella stagione su una media di circa 12.700 tifosi a partita ed allora, ricordando una conversazione tra suo padre e l’allora manager dei New York Giants, John McGraw, inerente un piccolo gobbo che era tenuto nel club newyorkese come portafortuna, pensò di attuare l’incredibile comparsata sul campo di gioco di un simile strano giocatore ma allo stesso tempo di fatto donare anche al prescelto un attimo il paradiso.
Così nel massimo segreto, per dare il via alle celebrazioni sia dei 50 anni dell’American League sia della Falstaff Brewing Company, sponsor dei Browns, ingaggiò, con un regolare contratto da Major League del valore di 15.400 dollari, o meglio a 100 dollari a partita, il ventiseienne Eddie Carl Gaedel, figlio di un immigrato lituano e che, stante la sua particolare statura da nano, sbarcava il lunario come artista da circo. Infatti Gaedel era alto 3 piedi e 7 pollici (1,092 metri) e pesava 65 libbre (29,484 chili).
Dunque avvenne in quel giorno che presso lo Sportsman's Park si stesse svolgendo un doubleheader tra i locali Browns ed i Tigers di Detroit e Bill, dopo aver reclamizzato gli eventi, dopo la prima gara vinta dagli ospiti per 5-2, durante l’intervallo per intrattenere il pubblico fece scendere sul diamante diversi artisti accompagnati nelle loro evoluzioni da una band di otto elementi tra cui l’osannato lanciatore Satchel Peige alla batteria.
Ad incrementare lo spettacolo poi dette l’avvio ad una parata di vecchie automobili e moto mentre il clown Max Patkin, con il suo repertorio, cercava di sdemonizzare il monte di lancio fino a quando tra la curiosità dei presenti fu portata una enorme torta alta 7 piedi (2,134 metri) dalla quale furoreggiando uscì proprio lui, il nano Gaedel indossando la divisa dei Browns.
Il pubblico, in verità secondo usi e costumi, si aspettava che venissero fuori le sognanti movenze di una “pinup” e la delusione toccò pure i vertici dello sponsor che non gradirono quella presenza ma nessuno di loro avrebbe mai pensato al seguito. Infatti il buon Bill da buon regista, aveva sviato tutte le congetture quando ad inizio partita, già al primo inning, il manager dei St. Louis Browns, Zack Taylor, segnalò l’impiego di un pinch hitter mentre la folla ammutolì nel vedere il nano Gaedel uscire del dugout in perfetta tenuta di gioco con il numero 1/8 e recarsi verso il box di battuta ruotando tre mazze giocattolo.
L’incredulo plate umpire Ed Hurley dinnanzi a questa messa in scena lo bloccò e si recò inviperito presso il manager Zach Taylor chiedendogli quale razza di scherzo stesse facendo ma questi, con volto serafico, astutamente e debitamente istruito da Veeck, prontamente gli presentò la dovuta documentazione, avallata ingenuamente dell’American League, relativa alla regolare posizione del giocatore Gaedel. Dopo 15 minuti di riflessione e probabilmente a seguito di una telefonata al quartier generale della lega a Chicago, il plate umpire Ed Hurley, ancora frastornato, permise a Gaedel di entrare nel box del battitore e dare il via al gioco.
Nella sua autobiografia, Veeck in seguito descrisse cosa accadde dopo. “Si era a quel punto creata un’atmosfera tra il ridicolo, ironia e spasso. Bob Cain, il lanciatore di Detroit, e Bob Swift, il ricevitore, erano rimasti in piedi durante tutti quei 15 minuti… poi però non dimenticherò mai l'espressione di totale incredulità che apparve sul volto di Cain quando finalmente realizzò che avrebbe dovuto lanciare a quel battitore. D’altra parte non poteva sapere che avevo dato rigide istruzioni ad Eddie di non muoversi minimamente su qualsiasi tipo di lancio e pertanto, indipendentemente da ciò, Cain cercò di individuare la minuscola zona dello strike con i suoi primi due lanci. Poi è stato il ricevitore Swift a recarsi presso il monte di lancio per discutere con Cain le complessità del lancio a un nano. Quando è tornato nella sua posizione, ha fatto qualcosa che non avevo mai sognato. Per completare la pura incongruenza della scena e rendere il quadro dell'evento più memorabile, si è inginocchiato per offrire un bersaglio al suo lanciatore".
Con Swift in ginocchio, Cain, ridendo come un matto per l’assurdità della situazione che gli offriva quell’entrata nella zona dello strike pari ad un rettangolo di 43 cm di larghezza e 12 cm di altezza, lanciò altre due palle veloci, ciascuna sbagliata, e Gaedel per la regola delle “quattro ball” ottenne dall’umpire la facoltà di raggiungere salvo la prima base.
Accadde un’apoteosi, pubblico in delirio portato all’esaltazione ed Eddie Gaedel a percorrere quei 27 metri il più lentamente possibile per salutare e godere intimamente di essere lì nel sognante paradiso di tutti. Raggiunta la prima base infine gli subentrò il pinch runner Jim Delsing e quindi, inchinandosi più volte agli applausi dei tifosi, rientrò nel dugout.
L’uffico legale dell’American League nelle successive 48 ore ebbe modo di annullare il carpito contratto steso da Veeck ma non potè sbianchettare dagli annali l’apparizione di Eddie che resta così unica ed emblematica.
Per la cronaca i Tigers andarono a vincere anche quella seconda gara per 6-2 ma ai 18.369 tifosi dei Browns incasellare la loro 79esima sconfitta stagionale non fu importante quanto invece poter dire “quel giorno che andò a battere il nano Eddie, io c’ero”. Da ultimo, nemesi della storia, tra Eddie e Bob Cain nacque quel giorno una duratura amicizia onorandosi entrambi di poter sempre raggiungere i propri sogni.
Michele Dodde
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Vittorio (mercoledì, 23 marzo 2022 12:47)
Simpatico siparietto
Giuditta (mercoledì, 23 marzo 2022 18:49)
Interessante, comico, ben raccontato!