C’era una volta… Questo di fatto è il carismatico inizio di ogni favola, ma a volte le favole si tingono di bianco verde e di azzurro italico, sfiorano il caso, si librano sulla leggerezza dell’imponderabilità e diventano leggende. Ed in verità c’era una volta a Brooklyn la famiglia di giovani immigrati giunti nella grande mela, appena finita la seconda guerra mondiale, a ricercare una loro confacente alba di vita. La data del 24 ottobre del 1948 segna la nascita di un loro erede che vivacizzerà legami e gioie in famiglia pur nella grande semplicità. Il piccolo incomincia a parlare, ma la lingua che impara a conoscere è un italiano dialettale di affettuosa comunicatività ma sempre pieno di significati reconditi. Poi la famiglia per opportuna scelta lascia Brooklyn trovando una nuova residenza a Valley Stream, Long Island (NY). Era questo un quartiere abitato da italiani, irlandesi ed ebrei e, come in tutte le comunità non omogenee, c’era sempre una morbosa curiosità per conoscere i futuri vicini ed in second’ordine le potenzialità dei loro figli per ampliare sempre più quel vasto mondo del baseball sandlot, vero passatempo classico per i giovanissimi, dove il gioco si impara per imitazione per poi divenire una decisiva scelta.
Così questo giovane, dopo solo due partite giocate tra tombini sviando prudentemente le macchine in arrivo e salvaguardando qualche vetro di varie finestre, intuisce che il baseball sarebbe stato il suo compagno di viaggio per tutta la vita.
Poi vide che altri sandlottisti incominciarono ad indossare una divisa completa di gioco e per lui quel giorno arrivò il successivo anno con la squadra “ Veterans of Foreign Wars” e sotto la sapiente guida di Lou Santo, grande appassionato del baseball e veterano della seconda guerra mondiale, il giovane incominciò ad irrobustire il suo fisico, a smussare alcune particolarità, a saper ragionare sul gioco e principalmente ad avere capacità cognitiva là nel box di battuta.
Poi nel 1958 si trovò a seguire le mitiche World Series tra i “Milwaukee Brewers” e gli “Yankees” di New York e da allora, ad appena dieci anni, si innamorò di quei colori azzurri e le striature a pigiama ma soprattutto dell’etica di questa blasonata squadra.
Gli Yankees divennero il suo modello in tutto, poiché quando uno per un giorno è uno Yankee resterà uno Yankee per tutta la vita.
Nel prosieguo della sua formazione il caso volle che in un altro continente un evento si formalizzasse in modo tale da cambiargli sostanzialmente la vita. Quell’evento accadde in Italia durante la finale del Campionato Europeo edito nel 1971.
La Nazionale Azzurra, pur sotto la magistrale guida di Chat Morgan, andò a perdere contro una Olanda infarcita di molti atleti delle Antille Olandesi, là dove il gioco del baseball già a colazione si mangia con le brioche. Al sulfureo presidente federale di allora, l’indimenticabile Bruno Beneck, la sconfitta fu accettata con molto mugugno ed allora, anche su suggerimento di Morgan, sguinzagliò mari e monti per individuare là negli Stati Uniti, dove il baseball è nato, se ci fossero degli oriundi desiderosi di venire a giocare in Italia in squadre italiane e, se del caso, rivestire in seguito la maglia della nazionale dell’Italia Baseball.
La ricerca ebbe inizio con un articolo apparso sul quotidiano “Il Progresso Italo Americano” edito a New York in lingua italiana e così il nonno di questo ormai giovane bomber, ad insaputa del nipote, compilò il modulo di presentazione. Fu così che Beppe Prone, allora consigliere federale e dirigente del Torino b.c., nel mese di marzo ebbe l’idea di contattarlo per inserirlo nel roster della squadra piemontese ma la sua prima risposta fu negativa e forse causata dall’inaspettata richiesta. Ma ad agosto, una ulteriore richiesta di ingaggio gli fu nuovamente riformulata dall’allora Segretario della Federazione, l’inimitabile Massimo Ceccotti, che lo convinse a recarsi a Parma ed a giocare con la squadra locale.
Ritornare nella terra natia dei genitori e l’accoglienza che ricevette nella città ducale fu coinvolgente e commovente. Il presidente del sodalizio, Aldo Notari, che rivestiva anche la carica di vice presidente federale, lo accolse nel mitico Hotel Milano per poi condurlo presso i locali della società, allora sponsorizzata da Bernazzoli, dove erano presenti tutti i dirigenti. La favola finisce qui, poiché il dopo è divenuto una concreta realtà e dal 2 agosto del 1972, il suo nome diventerà leggenda per i target che conquisterà e per la serietà professionale da additare come esempio ai giocatori in futuro.
Lui, il giovane della favola, è Salvatore “Sal” Varriale che da allora ha sempre fatto notizia sia perché è stato il primo oriundo non solo a calcare i diamanti italiani ma anche a restare, per sua scelta, in Italia e dell’Italia poi andrà ad indossare la maglia azzurra poiché poi da lui ha avuto inizio la lunga stagione degli Italiani d’America che hanno accompagnato la Nazionale fino ai giorni nostri.
Con la ferma mentalità da buon Yankee non ha mai cambiato squadra dal suo debutto a Roma il 5 agosto contro la Incom Lazio del magnetico e prestigioso Giulio Glorioso sino al campionato del 1984 quando, lasciato il guantone, entrerà a far parte dello staff tecnico della società divenendone poi anche allenatore e dirigente.
Nella sua carriera agonistica, di cui spicca il record stagionale di 63 PBC (Punti Battuti a Casa) ottenuto nel 1973, lunga di ben 12 anni vincerà 4 scudetti e 5 tornei di Coppa dei Campioni. Sarà chiamato ad indossare per 57 volte la maglia azzurra della Nazionale partecipando a quattro Campionati d’Europa vincendone 3 consecutivi.
Successivamente come manager il suo palmares si arricchirà con uno scudetto ed un Torneo Coppa dei Campioni ma preziosa e proficua sarà il suo inserimento nello staff del Club Italia e della Nazionale dal 1984 al 2004 partecipando a 27 competizioni tra campionati europei e mondiali ed a quattro Olimpiadi: Barcellona ’92, Atlanta ’96, Sydney 2000 e Grecia 2004.
Tra i ricordi sono memori quelli inerenti la scelta del numero di casacca, dall’iniziale numero 7 per ricordare il suo idolo personale Mickey Mantle, ma già in atto da Stefano Ricci, alla rinuncia del numero 17 che dalla cabala superstiziosa non era gradito, ci si fermò al numero 27, numero poi indossato per tutta la sua vita sportiva e che ora in suo omaggio è stato ritirato in ambito del Parma b.c., alla prestigiosa vittoria conseguita a Parma nel settembre del 1973 dalla Nazionale Azzurra contro quella degli Stati Uniti quando lui e Vic Luciani portarono in vantaggio l’Itala con due incredibili home run ed infine a furoreggiare come trio delle meraviglie insieme a Carlos Guzman e Giorgio Castelli nella Coppa dei Campioni nel 1977.
Ma i ricordi di questo atleta di grande temperamento e mai espulso in tutte le gare disputate, dunque vero positivo protagonista del baseball italiano, si fermano là a rievocare il suo primo presedente Aldo Notari quando gli regalò la divisa completa degli Yankees spronandolo a giocare meglio del già eccezionale Giorgio Castelli ed i suoi primi 10 fuori campo furono realizzati con la mazza di legno numero 35 modello, e non poteva essere diversamente, Mickey Mantle.
Con la casacca del Parma si è presentato nel box di battuta 1338 volte realizzando 359 valide, 72 fuori campo e 418 Punti Battuti a Casa. Numeri talentuosi e non noccioline.
Insignito di medaglia di bronzo e d’argento al merito sportivo dal CONI, riceve nel 2012 il Merit Award da parte dell’American Coach Association a Los Angeles e nel 2017 l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti sportivi.
Nel 2019 è stato inserito nella Hall of Fame della Federazione Italiana Baseball Softball.
Michele Dodde
Nella foto di famiglia in home page Sal Varriale è il secondo in piedi da sinistra
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Marino Bosdachin (giovedì, 16 giugno 2022 12:21)
Bella favola Michele, complimenti per come l'hai scritta. Bella persona Sal Varriale, ci giocai contro nel campionato del 1974, in battuta era veramente formidabile, averli oggi oriundi così.
Claudio (venerdì, 17 giugno 2022 07:52)
Leggere quello che scrive e come scrive Michele sul mondo del baseball è come fare un viaggio in un mondo ignoto ma guidati da una mano sicura. L’articolo apre alla mia ignoranza una nuova pagina della storia del baseball, per di più italiana! Non ne avevo conoscenza; ma c’è sempre tempo per imparare.
franco ludovisi (lunedì, 20 giugno 2022 14:15)
SALVATORE VARRIALE
dalla mia personalissima "CRONACA DI UNA VITA NEL BASEBALL"
Viaggiamo con la mia macchina da Montefiascone, dove eravamo ospiti, a Bologna:
più precisamente alla stazione di Bologna dove Sal prenderà il treno che lo riporterà a Parma.
Ci eravamo incontrati per caso e sempre per caso avevo saputo che Varriale doveva prendere il treno per Parma:
“Ma perché non vieni con me fino a Bologna e poi prosegui in treno?
Se fai così arrivi ad un’ora decente altrimenti fai notte fonda”
“Ma tu viaggi con tua moglie, non ti metto in difficoltà?”
“Ma va là! Salta su!”
E si parte per tre ore circa di viaggio insieme.
Come passeremo il tempo?
Ma parlando di baseball naturalmente e poi di personaggi del baseball e quando avremo finito gli argomenti ricominceremo “sparlando” di baseball e dei suoi personaggi.
Così ai racconti, alle illazioni, alle malignità, ai giudizi di Sal annuisco vigorosamente ghignando mentre guido la macchina e quando è il mio turno di parlare sono le risate di Salvatore che riempiono l’abitacolo dell’auto.
Sembra di essere al bar con gli amici a passare allegramente il tempo.
Però, a pensarci bene e a posteriori, i racconti collimano, le illazioni trovano conferme, le malignità sembrano diventare realtà e i giudizi concordano fino ad avere dell’incredibile.
Non ho avuto, prima di allora, tanto tempo a disposizione come in questa occasione per confrontarmi con Sal: al massimo ho osservato come faceva baseball.
E non avrò più occasioni neppure in seguito:
ma come in tutti gli altri casi in cui ho relazionato con veri amici il tempo anche lungo intercorso fra un incontro e l’altro è solo una piccola pausa in un discorso mai interrotto.