di Stefano Duranti Poccetti
Tratto dall'intervento di Stefano Duranti Poccetti durante il Baseball Book Day
Buon pomeriggio a tutti. Nel 2019 usciva per conto delle edizioni “Controluna” il mio volume “Frammenti di baseball”, ora uscito anche in edizione statunitense con il titolo “Baseball Fragments”, dove, attraverso brevi brani poetici, spiego storie, aneddoti e anche fantasie di questo magnifico sport. Per tale ragione sono qui oggi a parlare di Baseball e Poesia. Come si sa la letteratura internazionale è stracolma di opere dedicate a questo sport. In pochi minuti ora mi trovo quindi a fare una sintetica cernita. Un grande romanzo sul Baseball è “Underworld” di Don DeLillo, uno dei massimi scrittori americani. In questa lunga storia una palla viene passata di mano in mano e attraverso di essa vengono delineate le vicende dei protagonisti.
Mi focalizzo proprio su un passo estremamente poetico dove viene ben spiegato il significato di una palla da baseball, che viene in qualche modo umanizzata:
“Avevo in mano la palla da baseball. Di solito la tenevo nella libreria, incuneata in un angolo, tra libri diritti e libri obliqui, sotto una tenda di libri, senza tante cerimonie. Ma ora ce l’avevo in mano. Bisogna conoscerla, la sensazione di una palla da baseball nella mano, bisogna tornare un po’ indietro, collegare molte cose, prima di riuscire a capire perché si possa stare seduti in poltrona alle quattro del mattino con in mano un oggetto del genere, e stringerlo. Il modo rassicurante in cui aderisce al palmo, il centro di sughero che la rende leggera, e le zone ruvide di una palla vecchia, la pelle segnata, il piacere con cui il pollice strofina pigramente il cuoio liso. Una palla da baseball la si strizza. La si spreme, per così dire, o la si munge. La resistenza del materiale pressato fa venir voglia di stringere più forte. C’è un equilibrio, una piacevole tensione animale tra l’oggetto di pelle dura e la mano ad artiglio, con le vene gonfie per lo sforzo. E la sensazione delle cuciture in rilievo sulla punta delle dita, contorni di filo simili a gobbi sotto le articolazioni delle nocche, il cotone ritorto che può esser visto come un’impronta di pollice ingigantita un ingrandimento delle spirali sul polpastrello del tuo pollice. La palla era color seppia intenso, impastata di terra, erba e generazioni di sudore. Era vecchia, sbattuta, pesta, intrisa di tabacco e macchiata dal tempo e dalle vite che aveva alle spalle, chiazzata dalle intemperie e personalizzata come una casa in riva al mare. E aveva una striatura verde vicino al marchio di fabbrica Spalding, aveva ancora un piccolo livido verde nel punto in cui era andata a sbattere contro un pilone secondo la storia che l’accompagnava: vernice scrostata di un pilone imbullonato nelle tribune dell’area sinistra impressa sulla superficie della palla”.
Tutti voi conoscete il film “Il Migliore”, impersonato da un grande Robert Redford e diretto magistralmente da Barry Levinson. Pochi sanno però che questo film deriva dall’omonimo romanzo di Bernard Malamud, anch’egli validissimo scrittore statunitense. C’è una ingente differenza tra libro e film. Se quest’ultimo infatti finisce bene, l’altro finisce veramente male, Con Roy Hobbs che perde le World Series e farà il funerale alla sua mitica mazza.
In tutto questo la poesia la trovo reincarnata in un personaggio del libro. Il suo nome è Herman Youngberry, è il lanciatore dei Pirates e sarà lui a portare Hobbs e i Knights all’inferno.
Youngberry è simbolo dell’innocenza, è un ragazzo a cui non piace neanche troppo giocare a baseball. Sogna di farsi una fattoria e di andare a vivere nella natura. Youngberry è insomma il vero eroe positivo che per tutto il romanzo non era arrivato e che giunge solo alla fine. Hobbs infatti, per Malamud, non può essere considerato l’eroe positivo, dato che il successo l’ha sporcato con la lussuria e con le scommesse. Semplicemente per Malamud Hobbs non poteva vincere quella partita, perché è il suo avversario quello animato da sani intenti, lui che rappresenta purezza e genuinità… e dunque, certo, anche poesia.
Non posso a seguire non citare alcuni haiku giapponesi dedicati al baseball. Il qui presente Mario Salvini ha dedicato a questa forma poetica un articolo sul suo blog della Gazzetta ed è proprio da lì che mi sono permesso di estrapolare questi pochi versi:
Il trucco / per prendere la pallina / il salice nella brezza
Partita in notturna / sul fondo dello stadio / il posto più luminoso della terra
Anatre in volo verso nord / il lanciatore interrompe il caricamento / per guardare
Come si sa l’haiku è una forma poetica composta da soli tre versi. Nonostante questo, tali esempi ne sono una prova, queste liriche raggiungono vette evocative altissime.
Esiste un sito americano molto interessante, il cui nome è Baseball Bard. Qui tutti possono proporre poesie su questo sport. Proprio qui ho rinvenuto una lirica che riporto già da me tradotta e che trovo molto interessante, visto che dà bene l’idea della perfezione quasi divina del gioco. La lirica, che prende il titolo di Imperfect men (Imperfetti uomini), è di Richard Barter:
Tre basi di tela
esattamente posizionate.
Casabase e il monte
precisamente distanziati.
Il gesso si posa:
la linea è ultimata!
La terra dell’infield è
accuratamente rastrellata.
Le squadre scendono in campo
e, sì, lo rammentiamo ancora:
il baseball è un gioco perfetto,
giocato da imperfetti uomini.
Prima di salutarvi tengo a ricordare Ray Liotta, purtroppo deceduto improvvisamente pochi giorni fa. È stato l’immortale interprete di Shoeless Joe Jackson nel film poetico per eccellenza: L’uomo dei sogni. Grazie a tutti!
Stefano Duranti Poccetti
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Caba (mercoledì, 06 luglio 2022 10:29)
Stupendi ben raccontati momenti di ricordi personali vissuti Stefano!
Poesia di un diamante splendente!