Quando leggo qualcosa di interessante come gli ultimi vostri articoli sugli allenatori mi viene subito da chiedermi se anche nel mio caso ci sono similitudini con quanto leggo.
Anche questa volta l’ho fatto.
Il gioco lo imparo direttamente dai soldati americani alla fine della seconda guerra mondiale. Ce lo insegnano, a noi ragazzini del quartiere, in una piazza centralissima di Bologna. Questa corretta conoscenza del gioco appresa a 13/14 anni mi fa essere da subito se non un vero allenatore di altri ragazzi ed adulti almeno un “CONOSCITORE” delle regole del gioco e per questo ricercato ed ascoltato. (nella foto Franco Ludovisi alla battuta)
Poi a diciotto anni gioco sotto la guida di James Larry Strong un tecnico americano che mi insegna sia con l’esempio (la sua corsa sulle basi era micidiale) che con la teoria poiché è stato anche il relatore del primo Corso Tecnici tenutosi in Italia dalla Federazione Baseball a cui partecipai pure io.
In seguito alleno – e qui è corretto adoperare il termine allenatore – squadre di ogni categoria e livello financo la Nazionale Italiana dove guido (coach) i miei prospetti più con l’ESEMPIO che con l’applicazione di metodi. Soprattutto nel lancio che è il mio ruolo preferito e dove rendo maggiormente. E da me copiano, ma solo quello che credono opportuno per loro, tecnica e comportamenti.
Non credo, nel tempo, di aver imposto agli emergenti di volta in volta Calzolari, Palombi, Di Raffaele, Martelli, Lercker ed altri ancora per arrivare a Gianni Dolzani tecniche di lancio specifiche come invece farò in seguito quando nell’84 con l’arrivo di Greg Zunino imparerò ad applicarle correttamente diventando ora sì un “ALLENATORE” a tutto campo. (nella foto Larry Strong)
Riassumendo quindi la mia formazione tecnica parte dalla “conoscenza” del gioco, dall’”esempio” fornito direttamente sia a me che da me agli altri ed infine dalla consapevolezza di sapere le cose e di come metterle correttamente in pratica.
Mi va di aggiungere qualcosa a quanto già detto sul modo di essere un allenatore.
Premetto che le anomalie che vado ad evidenziare sono state quasi certamente le mie stesse inconsce anomalie nella mia carriera di Coach.
Il coach, l’head coach soprattutto, cerca di far crescere i prospetti allenandoli con metodi adatti, ma che soprattutto piacciono a lui.
Nel mio caso specifico la mia tendenza ad essere prevalentemente un allenatore di lanciatori ha fatto sì che ogni esercitazione fatta per qualsiasi ruolo si trasformasse in una esercitazione “utile” anche ai lanciatori che ne venivano sempre coinvolti.
Attualmente vedo esasperata questa tendenza in molti coach che trascurano i consueti metodi di allenamento, a mio giudizio “indispensabili” anche oggi come ieri, per dedicarsi prevalentemente ad esercizi “estemporanei” che a ben guardare hanno una loro finalità ed anche efficacia pur nel loro inconsueto utilizzo.
Ora citare questi metodi non mi piace affatto perché potrebbero venir considerati almeno irriguardosi verso quei colleghi ( ex colleghi è meglio dire) che li praticano e che verrebbero individuati dalla descrizione dei drills, ma questi colleghi ci sono eccome:
questo avviene per mancata conoscenza del metodo di allenamento del baseball tradizionale o per quale altra ragione che non sia il piacere di fare quello che a te piace fare?
Perché, per concludere, non è che dappertutto si applichino gli stessi metodi innovativi per incrementare la tecnica, cioè nuovi metodi di istruzione, ma ognuno fa quello che gli piace fare e basta
(Nella foto dell'arrivo in 3^ base una partita con le Calze Verdi)
Franco Ludovisi
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franco ludovisi (martedì, 06 dicembre 2022 17:40)
La prima foto è del 1951 quando giocavo nella Libertas Bologna in serie B.
La seconda, quella di Strong è del 1948.
La terza quella delle Calze Verdi che allora si chiamavano però CORES è del 1950.
Fantastiche davvero.