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Quando un solo occhio può bastare.....

DJ Suonandajie (Photo Amy Kontras for The New York Times) 

di Michele Dodde

Foto filmato e documenti tratti dal sito elguanton.org 

Sono molti i film che, rappresentando una conseguenza di episodi che poi lasciano allo spettatore momenti di autentica riflessione ed aspetti dei valori etici, in seguito sui titoli di coda fanno apparire la sintetica frase: “tratto da una storia vera”. Bene, anche il presente racconto è tratto da una storia vera e lo si dice subito per non fuorviare l’attenzione. Inizia da molto lontano, dal 1940. I nefasti eventi della seconda guerra mondiale non hanno mai sottaciuto di aver lasciato tristezza e drammi tali da sconvolgere mentalità e modi di vita. Ma è in questa sintesi che si intreccia la storia. Una famiglia, per non incorrere tra le atrocità che si verificavano tra gli apparati urbani, decise di lasciare la città e recarsi nella solitudine delle montagne dove il loro figliolo felicemente fu coinvolto nella natura e con la quale incominciò attraverso la fantasia a crearsi giochi e modalità innovative e di conseguenza ad irrobustirsi misurandosi nella corsa con gli animali ed anzi ad alcuni con cipiglio afferrandosi dietro la loro coda. 

Dal gioco al dramma il passo fu breve poiché un brutto quanto inaspettato incidente lo riportò amaramente ad una realtà che difficilmente poteva essere accettata. Tuttavia l’affetto familiare e la sua innata indole, che lo aveva indirizzato ad essere padrone di sè stesso, gli fecero dimenticare l’onda lunga collaterale di quell’incidente restituendogli, pur provato da un irreversibile handicap, una vita da vivere per scelta e consapevolezza.

Come costume di tanti giovani iniziò a giocare, ed anche bene, a calcio ma l’amorevole diniego della madre a praticare quel tipo di sport per via della sua menomazione lo convinsero ad altre alternative che si concretizzarono quando vide altri giovani che praticavano una diversa e poco ancora conosciuta attività sportiva: li vide lì su un campo, divertendosi, a giocare a baseball e volle provare.

 

Fu un impatto a prima vista che diventerà per lui una scelta continua di vita perché la potenzialità del suo braccio capace di lanciare la pallina in modo eccezionale e con calibrata intensità interessò subito il manager di una squadra che incominciò a plasmare le sue ulteriori possibilità.

 

A 19 anni così ebbe la consapevolezza di poter debuttare in un campionato agonistico di serie C e le sue ammirate qualità riuscirono a portare la sua squadra alle finali nazionali, a vincere il titolo e ad acquisire la promozione alla categoria cadetta.

 

Le fasi della vita qui si avvilupparono: dopo il diploma trovò subito lavoro presso una prestigiosa casa automobilista e pertanto decise comunque di non lasciare il gioco ma, allenandosi però in altra sede con il roster di una squadra di categoria superiore, continuare a giocare con la sua prima squadra, squadra che però lascerà per poi essere ingaggiato da una franchigia destinata ad entrare nel massimo circuito.

La Nazionale Italiana del 1957
La Nazionale Italiana del 1957

Da qui in poi il suo prezioso stile lo porterà già a partire dal 1957 ad indossare la maglia azzurra della nazionale ed il suo modo di giocare sempre sopra le righe resterà negli annali diventando storia poiché lì, sul monte di lancio, la sua personalità era inconfondibile.

 

A lui dunque verrà accreditato un palmares di record che non saranno mai più eguagliati: nel 1958 durante il campionato europeo lancerà consecutivamente per 12 inning fronteggiando il mitico lanciatore olandese Han Urbanus e la sconfitta di misura per l’Italia per 6-5 nacque per una banale circostanza di tempo causata dal seconda base; nel 1960 in cinque gare di serie A condurrà il gioco sempre agli extra inning e nel 1965 per ben 15 inning. Questa sua padronanza del gioco lo porterà nel 1960 anche a sfiorare la fantastica prestazione del “Perfect Game”, che forse sarebbe stato il primo in Italia, e sfumato per un errore di un infielder.

 

La sua carriera sportiva terminerà ritornando a giocare nella squadra del suo primo amore e dove si scoprirà l’incredibile verità del suo handicap: lui, da bambino, lassù sulle montagne, cimentandosi nella corsa con alcuni vitelli, ricevette da uno di loro un calcio sul viso che gli fece perdere la vista dell’occhio sinistro per distacco della retina.  

Lui, il bionico lanciatore che giocò con Giulio Glorioso, Romano Lachi, Gigi Cameroni, Roberto Gandini, Carlo Tagliaboschi, Antonio Caiazzo è Riccardo Rimini che, probabilmente unico lanciatore al mondo cieco di un occhio, di certo resta il più significativo e particolare giocatore di baseball degli anni sessanta.

 

Nessun giocatore o manager o chiunque avesse a che fare con il baseball mai si era accorto della menomazione di questo singolare lanciatore che riuscì a sopperire alla sua mancanza totale visiva con grande acutezza e determinazione.

 

Meravigliato più di tutti da quella notizia fu un suo ex dirigente, il ragioniere Giuseppe Crippa, che lo aveva sempre voluto nella sua squadra. Con viva curiosità gli chiese “Ma come hai fatto a rivestire in modo così efficace il ruolo di lanciatore, pur avendo questa anomalia?”. La sorniona risposta di Rimini fu “Non ho mai avuto alcun problema, tranne il controllo del corridore in prima base. Come soluzione ho trovato un’alternativa inventandomi un personale stile di caricamento: nella posizione fissa, alzavo la gamba sinistra verso la terza base, poi con una rotazione continua finivo portando il passo di chiusura verso la prima base. Così sono riuscito ad eliminare molti corridori sia in serie A, sia in serie B e C.

 

Riccardo Rimini dunque, una icona di uomo di sport che con la sua carriera di giocatore ha dimostrato quanto possa trasformarsi la passione per un gioco ed è un onore per il baseball averlo avuto tra i suoi partecipanti. 

 

Riccardo Rimini è nato a Verona dove tutt'ora risiede. 

 

Michele Dodde

 

L'incredibile filmato qui sotto si riferisce alla Prora Verona sullo storico Campo del Boschetto. Devo dire che la vista di questo filmato che vedo per la prima volta mi ha molto emozionato perché nel 1967 facevo i miei primi passi nel baseball e quelle erano le mie prima partite che andavo a vedere da ragazzino (avevo 13 anni). Credo che sia un reperto storico di notevole valore. Tra i giocatori si distingue in particolare Riccardo Rimini  (n° 13) lanciatore in quella partita, ma anche nel box di battuta. Riccardo era il mio idolo. Quando io approdai alla prima squadra erano i sui ultimi campionati. Alla fine dell'ultima stagione mi disse "ora devi andare avanti tu" cosa che feci proprio da quel monte di lancio che mi lasciò Riccardo.

Paolo Castagnini

 

Nella foto dopo aver vinto la finale per la promozione in serie B nel 1970- In piedi al centro Riccardo Rimini, io il primo a sinistra  - Prima e ultima partita giocata assieme
Nella foto dopo aver vinto la finale per la promozione in serie B nel 1970- In piedi al centro Riccardo Rimini, io il primo a sinistra - Prima e ultima partita giocata assieme

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Commenti: 4
  • #1

    Marcella (lunedì, 13 febbraio 2023 15:01)

    Pare proprio il caso di dire " Beati monoculi in terra caecorum "
    Spesso chi è affetto da una qualche menomazione fisica, grazie a determinazione e passione, riesce ad ottenere risultati che chi si ritiene
    " normodotato " non riuscirà mai a raggiungere

  • #2

    Maria Luisa Vighi (lunedì, 13 febbraio 2023 20:24)

    È l'attesa, l'ansia di scoprire il mistero trattenuto , la soluzione del caso, la collocazione tra i monti ed in fine la capacità fisica di sostituire la menomazione con l'astuzia....Ottimo racconto!

  • #3

    Ezio Cardea (lunedì, 13 febbraio 2023 20:39)

    Ed aveva anche un bel caratterino! Spesso negli allenamenti si arrabbiava con me invitandomi a tirargli la palla più lentamente … Non sapevo della sua menomazione e non capivo perché si infastidisse!
    Veramente personaggio eccezionale!
    Non so se si ricorda di me, in ogni caso lo saluto caramente

  • #4

    Paolo Ignesti (lunedì, 13 febbraio 2023 21:52)

    Una bella storia vera, mi ricordo di lui, è stato grande e non sapevo dell'handicap, incredibile