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Statistiche contro sensazioni

 

Foto tratta da MLB.com 

di Frankie Russo

tratto da detroitnews.com

Nel corso di queste Winter Meetings, a parte i due scambi boom che hanno visto Shōhei Ōtani passare dagli Angels ai Dodgers e Juan Soto dai Padres agli Yankees, altre importanti operazioni di mercato non si sono viste. L’argomento invece che è stato più discusso non riguarda i giocatori bensì il modo di gestire le gare da parte dei manager. Si è potuto notare, infatti, che negli ultimi anni qualcosa è cambiato. Un ritorno al passato dove l’istinto sta lentamente tornando di moda nei dugout.  Una conferma si vede anche dalle ultime assunzioni di manager di quest’anno che tende più verso il veterano che verso i giovani: Bruce Bochy con Texas, Ron Washington con gli Angels, Stephen Vogt con i Guardians, Bob Melvin con i Giants e Mike Shildt con i Padres. E lo stesso dicasi per alcuni Bench Coach: Brad Ausmus con gli Yankees, Fredi Gonzalez con gli Orioles, Charlie Montoyo con i White Sox, De Marlo Hale con Cleveland sono solo alcuni esempi. 

Le cose sembrano andare in una diversa direzione dove si verifica sempre meno che un GM entri nell’ufficio del manager con il lineup già scritto. E’ legittimo che il manager si consulti con i suoi collaboratori e anche con il GM, ma la decisione finale deve essere sempre la sua. Ora, con questo non si vuol dire che avere a disposizione tante informazioni non abbia il suo valore. Le sabermetriche più avanzate ora ci indicano quali sono i punti deboli e di forza dei battitori, l’utilizzo dei vari tipi di lancio, i risultati dei lanciatori contro battitori destri e/o mancini, il chart dove battono i giocatori per meglio posizionare la difesa, sono tutte informazioni di vitale importanza.

A volte un'esagerata quantità di numeri può creare confusione nei giocatori come se li paralizzasse e che può diventare dannosa quando tutti i numeri sostituiscono l’istinto del manager durante la gara.

 

Ed è qui che va tirata una linea di demarcazione perché è nel contesto della partita che la tanta informazione non può sempre determinare una decisione.

 

Quindi quando si procede troppo presto alla sostituzione di un lanciatore In teoria può sembrare tutto giusto, ma spesso può portare a risultati negativi. Nel gioco di oggi si tratta di evitare che un lanciatore  affronti l’avversario per la terza volta, ma molte squadre stanno prendendo come riferimento i 18 battitori affrontati. 

 

Subentrano tante variabili che non possono essere quantificate dai numeri. Per esempio, come sta reagendo un determinato lancio in una determinata partita, come reagiscono i battitori a quel determinato lancio, oppure la stanchezza del braccio, problemi familiari e/o personali, quanto è stato utilizzato il bullpen negli ultimi giorni, sono tutti elementi che possono influenzare la decisione di quando cambiare il lanciatore e poter gestire le gare dei prossimi giorni. 

 

Vi sono poi dei modelli di queste strategie moderne che in un batter d’occhio hanno cambiato il corso del loro iter. 

E’ interessante rilevare come i Giants, dopo aver vinto 107 gare nel 2021, non siano riusciti a raggiungere i playoff nelle due stagioni successive. Il manager Gabe Kapler, che ha gestito la squadra strettamente in funzione dei numeri, è stato licenziato a fine stagione e al suo posto è stato assunto il veterano Bob Melvin. 

 

Ritenere però che uno o l’altro metodo di gestire la squadra, o in modo tradizionale oppure con i numeri, sia una scelta, è una falsità. Deve essere invece una miscela tra tutti e due in quanto è il modo in cui le analisi vengono trasmesse e utilizzate dai giocatori che fa la differenza.

 

Mentre i Giants vogliono ora affidarsi più a un manager tradizionale, per i Diamondbacks l’informazione nella passata postseason è risultata vitale. Prendiamo per esempio Gara 3 delle NLCS quando Torey Lovullo ha sostituito il partente Brandon Pfaadt con due eliminati nel sesto inning e con il punteggio sullo 0-0. Pfaadt aveva concesso solo due valide in una gara condotta con la massima tranquillità ma mancava un solo battitore prima di affrontare il lineup per la terza volta.

 

I sostenitori del metodo tradizionale hanno gridato allo scandalo, Lovullo aveva commesso una vera e propria ingiustizia nei confronti del suo giovane lanciatore, ma i dati in possesso di Lovullo erano inconfutabili. Quando affrontava il lineup per la terza volta, Pfaadt generalmente veniva bastonato e la media OPS si aggirava intorno a 1.000 e il manager non voleva mettere il suo lanciatore in una situazione di insuccesso.

 

I Dbacks finirono per vincere la gara grazie al bullpen che ha portato a termine quanto iniziato da Pfaadt. A fine gara Lovullo ha anche dichiarato che non sarebbe sempre stato così, si sarebbero presentate occasioni in futuro in cui Pfaadt avrebbe dovuto andare più profondo nelle gare in base alle situazioni.

 

Un altro esempio può essere quando Skip Shumaker dei Marlins ha deciso di affrontare Nolan Arenado nel 10° inning con corridori in seconda e terza e la prima libera. Le analitiche suggeriscono di non mettere corridori in base quindi Arenado andava affrontato. Il risultato è stato un walk off HR. Sarebbe stata allora una migliore soluzione concedere la intenzionale? A seguire in battuta c’era Wilson Contreras che in quella gara stava battendo bene, quindi o contro l’uno o contro l’altro bisognava prendere il rischio.

 

O ad esempio come Bruce Bochy è riuscito a trovare la giusta miscela tra i due metodi nelle World Series. Nessun dato statistico avrebbe suggerito a Bochy di tenere in gara Nathan Eovaldi per la sesta ripresa dopo che aveva concesso cinque basi su ball, aveva 97 lanci a suo carico e con 30 lanci nella quinta ripresa era riuscito miracolosamente ad uscire dai pasticci con le basi piene. 

 

Non si può gestire una gara basandosi esclusivamente sui numeri o esclusivamente sull’istinto. Coloro che riescono a trovare la giusta misura alla fine risultano essere i migliori e risultano essere anche i più difficili da sconfiggere. La giusta decisione deve essere presa da ciò che si vede in campo a da tutte le informazioni a disposizione. Si può programmare quanto si voglia ma non si può prevedere come un giocatore si sente in quel momento, quali sono i pensieri per la famiglia, come si sentono fisicamente e se hanno recuperato dalla precedente prestazione e quale sia la fiducia che hanno in sé stessi in quel determinato giorno. Le decisioni non sono mai basate solo sui fogli di carta e nemmeno solo all’istinto o sulla speranza. 

 

A molti piace definire Bruce Bochy un manager da old school, ma non è così. Bochy è il prototipo del manager che sa trovare la giusta misura tra l’informazione e l’istinto. 

 

Frankie Russo

 

 

 

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