Nel 1961, dopo un’attenta ed accurata scelta del sito per via di un investimento economico che fosse in futuro ampiamente valorizzato, ad Anaheim. una città poco distante da Los Angeles, nella California del Sud e dove si trova il Disneyland Resort, il grande parco a tema Disney con giostre, ristoranti, alberghi e negozi su misura per le famiglie, l’artista Gene Autry diede vita ad una nuova franchigia di baseball ed in ricordo di una squadra della Pacific Coast League della Minor League in atto dal 1903 al 1957 le diede il nome di “Los Angeles Angels”.
Il club però dopo appena cinque anni cambiò la sua denominazione in “California Angels” nome che onorò sino al 1996 poiché nel 1997 gli interessi pubblicitari fecero sì che la Walt Disney Company prendesse il controllo della squadra e rinnovasse completamente l'Anaheim Stadium, rinominandolo "Edison International Field of Anaheim".
La città di Anaheim, da par suo, contribuì con 30 milioni di dollari al restyling, che costò ben 118 milioni complessivi, negoziando però che nel contratto inerente al contributo sia lo stadio che la squadra avrebbero dovuto contenere il nome "Anaheim".
Fu così che la franchigia nel 1997 si presentò nella griglia di partenza dell’American League con la casacca riportante ben in evidenza il logo “Anaheim Angels” e divenne una sussidiaria della Disney Sports, Inc. (in seguito chiamata Anaheim Sports, Inc.).
Sotto la proprietà della Disney e la leadership del manager/icona Michael Lorri Scioscia, più conosciuto nell’ambiente con i soprannomi “Sosh” e “El Jefe”, gli “Angels” conquistarono le loro prime ed uniche World Series nel 2002.
Tuttavia la squadra, molto seguita ed amata, nonostante abbia vinto dalla sua nascita ad oggi solo un titolo dell’America League, nove titoli della Western Division ed immortalato nella Hall of Fame solo 13 giocatori, è riuscita ad attirare nel proprio stadium da 45.500 posti complessivamente ben oltre due milioni di spettatori e nel 2005, il nuovo proprietario Arturo Moreno, convinto assertore di far riflettere meglio la storia della squadra per essere più appetibile ai tifosi di Los Angeles, come nel passato, aggiunge alla denominazione nuovamente “Los Angeles” e pertanto il nome divenne “Los Angeles Angels of Anaheim”.
Con un’alzata di spalle comunque, la cronaca dice che la squadra in genere si riferisce a sè stessa come “Angels” o “Angels Baseball” mentre i media del sud della California tendono ad omettere l'identificazione geografica e a riferirsi alla squadra come “the Angels” o “the Halos”.
Con un ultimo colpo di spugna, nel 2013, la proprietà ha ufficialmente eliminato "of Anaheim" dal nome della squadra così come la maggior parte delle fonti ufficiali, che omettono il suffisso "of Anaheim", e la stessa guida ufficiale della MLB che si riferisce al club solamente come “Los Angeles Angels”.
E’ questo degli “Angels” un caso unico poiché, pur cincischiando attorno al logo, la franchigia non ha mai rinunciato alla denominazione di “Angels” né ha mai cambiato città ma anzi convive e coinvolge in modo appropriato sia con la società sociale e sia con i propri tifosi.
In risposta all’American League, la National League il 17 0ttobre del 1960 perfezionò nella città di Houston la nascita di una nuova franchigia al fine di ampliare la propria presenza nel Texas.
Reperite le dovute risorse finanziarie la nuova squadra prese il nome di “Houston Colt 45s” in omaggio ironico alle cartucce metalliche usate a piene mani nell’epoca dei pionieri ed il 10 aprile del 1962 avvenne il suo debutto ufficiale. La nomea però non fu di fatto molto gradita ed il 1 dicembre del 1964 i proprietari avallarono il cambio della denominazione in “Houston Astros” per rimarcare il ruolo centrale che la città ricopre nell’ambito dei programmi spaziali.
Alterne vicende in seguito hanno poi caratterizzato la storia di questa franchigia. Infatti la cronaca riporta che già nel 1991 corse il rischio di essere ceduta con successivo cambio di sede nella capitale Washington ma per via di alcune fortunose incomprensioni tra i colletti bianchi della Major League inerenti alcuni aspetti manageriali il tutto diventò carta straccia. Poi però nel 1993 il proprietario dell'epoca John J. McMullen, un influente uomo d’affari e ingegnere navale che aveva acquistato la franchigia dalla Ford Motor Credit Company nel 1979 e che nel 1986 era riuscito a convincere anche il famoso Yogi Berra a porsi alla guida degli “Astros”, a causa dell’età avanzata vendette la squadra al texano Drayton McLane che subito dichiarò il proprio impegno e la propria convinzione di mantenere la squadra nella città di Houston.
Tuttavia nella metà degli anni novanta questi incominciò ad esercitare forti pressioni per abbandonare il Reliant Astrodome Stadium, usato in contemporanea con la squadra locale di football, per trasferirsi in una struttura più moderna. Trovando forti opposizioni da parte dell’Amministrazione Cittadina dichiarò di mettere in vendita la società a William Collins, altro fortunato imprenditore, che dichiarò apertamente che era intenzionato a trasferire la squadra in Nord Virginia.
Fortunatamente per i tifosi, Collins non riuscì ad individuare un confacente sito che indorasse il suo impegno finanziario e quindi il successivo intervento diretto dei dirigenti della Major League a favore della richiesta di McLane favorì un globale consenso dei cittadini a costruire un nuovo stadio a Houston, l’attuale Minute Maid Park capace di 41.170 posti a sedere dove tuttora gioca.
Ironia della storia però indica che questo stadio suo malgrado in un secondo tempo si è rivelato interessato spettatore ed algido inquisito: nel 2013, da spettatore, ha assistito dopo ben 51 anni al cambio di lega da parte degli Astros che lasciarono la natia National League per transitare nell’American League gratificati forse da sotterranei emolumenti economici; da algido inquisito dopo il 12 novembre 2019 perchè i giornalisti Ken Rosenthal ed Evan Drellich in un articolo apparso sul sito web di giornalismo sportivo “The Athletic” delinearono presunte accuse secondo cui nell’ambito dello stadio gli “Astros” avrebbero utilizzato delle opportune telecamere per rubare i segnali dei ricevitori sui lanci da effettuare.
Queste modalità erano state confessate dal lanciatore Mike Fiers e da altre fonti anonime. Secondo le accuse, i segnali venivano visionati nel dugout degli “Astros” e da qui segnalati ai propri battitori di conseguenza. A comprova inoltre circolarono alcuni video che mostravano chiaramente lo schema utilizzato.
Un vero scandalo di slealtà sportiva confermata in data 13 gennaio del 2020 quando le indagini commissionate dallo stupito Rob Manfred, Commissioner della Major League, annunciarono che effettivamente era stato fatto un uso illecito dei monitor da parte degli “Astros” durante la stagione regolare, la postseason del 2017 e parte della stagione 2018. Furono colpevolizzati il manager A.J. Hinch, il general manager Jeff Luhnow ed il coach Jose Alexander Cora, additato quale responsabile ideatore dello schema, che subirono la sospensione di un anno, la franchigia che venne multata per 5 milioni di dollari (il massimo permesso dalle regole della MLB) e al team al quale furono tolte le prime due scelte del Maior League Baseball Draft del 2020 e del 2021.
Ma l’onda lunga proseguì poi in modo anomalo perché il proprietario degli Astros James Robert Crane, facoltoso uomo d’affari, nell’affermare ripetutamente di non essere stato mai a conoscenza di quella illecita combine, licenziò in tronco sia Hinch che Luhnow, mentre Jose Alexander Cora, passato a dirigere i “Boston Red Sox” nel 2018, al termine della sospensione, fu nuovamente assunto dai Red Sox.
A giochi fermi tuttavia la giustizia sportiva non ha mai revocato la vittoria acquisita nelle World Series del 2017, anno dell’acclarata combine, da parte degli “Astros” che poi le rivinsero nel 2022 onorando la loro bacheca con 5 titoli di Lega, 11 di division e 9 giocatori inseriti nella Hall of Fame.
Quindi demoni e meraviglie, venti e maree in un baseball che a volte dimentica di essere adulto.
Michele Dodde
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Rosa Mariano (lunedì, 15 gennaio 2024 20:54)
Un'altra storia interessante del baseball raccontata con " elegante sportività"