Nel 1769 quando alcuni frati francescani nel portare avanti la loro missione nel nuovo mondo fondarono nella California meridionale, appena a nord del confine con il Messico, la città di San Diego in onore del religioso spagnolo proclamato santo da papa Sisto V nel 1588, mai avrebbero pensato che anche loro in un modo fortemente laico sarebbero stati ricordati oltre al nome anche nel primo logo di una squadra di baseball che dalle Minor League (Pacific Coast League), dove era presente dal 1936 e di cui si ricorderanno le eccellenti prestazioni del giovanissimo concittadino Ted Williams che la porterà a vincere quel campionato minore nel 1937, nel 1969 salirà agli onori del grande palcoscenico della Major League a seguito di intuitive manipolazioni economiche dei massimi dirigenti del baseball statunitense. La squadra infatti mantenne il nome di “San Diego Padres” ed il logo, che ne caratterizzava la presenza, fu realizzato raffigurante un monaco con svolazzante saio marrone che brandisce una mazza da baseball bianca all’interno di un cerchio giallo.
La cronaca comunque preciserà che a foraggiare il suggestivo rito della Fenice da parte dei “Padres” fu il suo proprietario Conrad Arnholt Smith, facoltoso banchiere con interessi nell’industria del tonno e nel settore immobiliare, e fortemente ammaliato da una sotterranea intensa passione politica tanto che il suo interesse futuro sarebbe stato quello di poter individuare l’iter e modalità che gli permettessero di trasferire in seguito la franchigia a Washington, DC.
Non riuscendo nel suo intento ed avvisando un orizzonte nero circa le sue proprietà valutò opportuno nel 1974 vendere la squadra a Raymond Albert Kroc, a sua volta celebre imprenditore statunitense e tra l’altro fondatore della McDonald’s Corporation.
Tuttavia, nonostante l’interesse, il clamore mediatico e l’entusiasmo suscitato a San Diego da parte dell’esordio dei “Padres” in ambito della Major League Baseball, esordio in quell’anno 1969 equamente diviso con i “Montreal Expos” sotto l’emblema della National League, e sebbene la squadra potesse usufruire di esperti dirigenti come Eddie Leishman e Buzzie Bavasi, di certo avrebbe dovuto cambiare i propri colori di casacca ( marrone, oro e bianco ) in un completo nero visto che per le prime sei stagioni andò ad occupare sempre l’ultima posizione in classifica.
Nell’album dei ricordi poi si scriverà che nei successivi anni le fortune della squadra cominciarono a migliorare fino a riuscire a vincere per ben cinque volte il titolo di NL West Division e a disputare le ambite World Series per due volte, nel 1984 e nel 1998, risultando però sconfitta in entrambe.
L'uomo simbolo dei Padres negli anni Ottanta e Novanta è stato certamente l’esterno destro Tony Gwynn in grado di vincere nella sua carriera ben 8 riconoscimenti personali per le sue prestazioni in battuta. Ma a chiudere in bellezza va pur detto che nell’agosto del 2020 essi sono riusciti nell'impresa di diventare la prima ed unica squadra della Major League a realizzare un “Grand Slam” in ben 4 partite consecutive fregiandosi in tal modo del soprannome “ Slam Diego Padres”.
E tanto per delineare le conclamate scelte sociali al fine di propagandare il gioco in più città possibili, ecco che nel 1969 mentre la National League con precise scelte legate al più interessato business accoglieva nella sua lista i “San Diego Padres” e i “Montreal Expos” ecco che l’American League da par suo poneva sotto le ali del suo emblema le franchigie “ Kansas City Royals” e “Seattle Pilots”.
In una involuta storia però furono coinvolti questi ultimi. Infatti la squadra dei “Pilots”, assemblata nel 1969 a Seattle per dare concretezza al piano di espansione portato avanti dalle due leghe della Major League, non trovando rispondente la città a sostenere una squadra professionista di baseball, dopo una sola stagione agonistica si trasferirono nella più redditizia Milwaukee, capoluogo della omonima contea nello stato del Wisconsin.
Qui i dirigenti del sodalizio sportivo non solo cancellarono il nome di “Pilots”, che inizialmente era stato scelto in omaggio ai piloti portuali di Seattle ma si attribuirono anche il nome dell’antica originale squadra del luogo, i “Milwaukee Brewers”, con quella denominazione in omaggio alla locale fiorente industria della birra.
Nel 1998 tuttavia, con la mano destra sul cuore e la sinistra a contatto del portafoglio, così come si verificherà nel 2013 per i già citati “Houston Astros”, anche i “Brewers” si esaltarono nel significato politico del “salto della quaglia” transitando agevolmente per molti interessi economici dall’American League alla National League.
Mai diventati fulmini di guerra però i “Brewers”, proprietari di una limitata bacheca dei ricordi in cui sono riportati un solo titolo di Lega e cinque di Divisione con foto di solo otto giocatori inseriti nella Hall of Fame, di contro hanno una tifoseria molto affezionata nelle tradizioni. Infatti si racconta che a metà del sesto inning, durante ogni partita casalinga, gli spettatori assistono con molta partecipazione alla celebre "Sausage Race" (Corsa delle Salsicce, che sono le mascotte della squadra).
Tale corsa consiste in una prova di velocità tra cinque impiegati della società indossanti un costume di 2.21 metri a forma di salsiccia (una tedesca, una polacca, una italiana, un hot dog americano e un chorizo).
Ed è facile poi intuire il nascosto messaggio di andare a bere birra…Come nota poi si delinea come nel 2003 è uscito nei cinema il fantasportivo film “Mr. 3000” con l'attore Bernie Mac. Il film narra la storia di Stan Ross, immaginario battitore dei Milwaukee Brewers, che decide di ritirarsi dopo la sua battuta valida numero 3000, all'apice della carriera, ma è costretto a ritornare in campo dopo alcuni anni per vedere riconosciuto il suo record.
Intrigante da ultimo la storia della denominazione “Brewers”: gli originali “Milwaukee Brewers” furono una delle otto squadre a prendere parte alla nascita dell’America League nell'anno 1901 ma dopo una sola stagione quella squadra si trasferì in quel di Saint Louis dove prese il nome di “St. Louis Browns”.
Successivamente nel 1954 i colletti bianchi optarono per un ulteriore trasferimento nella più accattivante Baltimore dove cambiarono ulteriormente la denominazione in “Orioles”.
Con il nesso di “mai dire mai” ecco allora la rinascita a Milwaukee dei “Brewers” con una netta discordanza però da quell’ipotetico albero genealogico per successione…
Michele Dodde
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Anna (martedì, 20 febbraio 2024 07:56)
Sempre interessantissimi gli articoli (dai quali si evince una minuziosa opera di ricerca...) di Michele Dodde.
GRAZIE