Se è vero, come è vero, che i dollari sono capaci di smuovere le più granitiche coscienze, non deve meravigliare più di tanto la magia del gioco dei bussolotti che ha interessato la presenza di squadre di baseball nella città di Washington. Infatti nel 1955 divenuto presidente dei Washington Senators, nomen omen in onore ai senatori del Governo Federale degli Stati Uniti, l’intraprendente Calvin, nipote e figlio adottivo di Clark Griffith, defunto proprietario della franchigia, con dati alla mano inerenti al numero degli spettatori ed ai relativi incassi derivanti incominciò ad ipotizzare un trasferimento della squadra verso una sede più coinvolgente prendendo ad esempio quelli già programmati ed attuati dai Boston Braves, dai St. Louis Browns, dai Philadelphia Athletics, dai New York Giants e dai Brooklin Dodgers.
La prima scelta di una eventuale futura sede fu la città di San Francisco ma poi l’ombra lunga si diresse verso Minneapolis-St. Paul che gli garantiva come minimo ben oltre un milione di spettatori all’anno ed in più un paludato incremento di entrate extra da parte delle trasmissioni televisive e radiofoniche.
La cronaca dei corridoi tramanda che a questa scelta iniziatica apparentemente si dimostrò tenace l’opposizione della Major League che era virtualmente contraria a privare la Capitale della presenza del gioco del baseball ma poi questa però subito divenne blanda e nulla nel 1961 poichè fu concesso a Griffith non solo l’esodo ma anche il doveroso cambio di logo e nome della squadra che divenne la “Minnesota Twins” in omaggio al trentaduesimo Stato federato degli Stati Uniti d'America ed alle Twin Cities ("città gemelle"), nome popolare della grande area urbana formatasi attorno alle due città principali dello stato: Minneapolis e Saint Paul.
Qui infine si riporta un’amara postilla che riguarda proprio il proprietario Calvin, più che altro un attento calcolatore di business: alla domanda di un giornalista sportivo, quasi due decenni dopo, sul perché avesse trasferito la squadra da Washington a Minneapolis, questi rispose: "Ti dirò perché siamo venuti in Minnesota. E’ stato quando ho scoperto che qui c'erano solo 15.000 neri. I neri di solito non vanno alle partite di baseball e sono capaci solo a riunirsi ed innalzare canti. È incredibile. Bene, noi siamo venuti qui perché qui ci sono dei bianchi bravi e laboriosi cui donare un piacevole spettacolo”. Una persistente negatività nonostante quell’inizio di abbattimento delle barriere raziali iniziato nel 1947 con Jackie Robinson…
Va ora precisato però che quella benevola concessione da parte dei dirigenti della Major League di fatto fu elargita in modo magico a seguito di una sotterranea diplomazia che già dietro le quinte aveva confezionato la costituzione di una nuova franchigia che andava a prendere, novella araba fenice, non solo l’eredità ma anche il nome del vecchio club. Cioè ancora “Washington Senators”.
Sarà stata dunque questa la franchigia che avrebbe rappresentato poi definitivamente il volto della Capitale? Ebbene no, poiché dopo dieci anni, visti i mediocri risultati acquisiti durante le diverse stagioni agonistiche e i frequenti passaggi di proprietà che non hanno mai permesso di pianificare una forte metodologia decisionale indussero l’ultimo proprietario del decennio, Robert Earl Short, a prendere in esame l’interessante offerta di un acconto multimilionario da parte di Tom Vandergriff, scrupoloso ed innovativo sindaco della città di Arlington nel Texas. Fu così che il 21 settembre del 1971 gli uomini di scrivania dell’American League si espressero favorevoli al trasferimento della squadra da Washington ad Arlington con conseguente cambio di logo e nome in “Texas Rangers”.
Le cronache sportive dell’epoca misero in gran risalto lo sconforto dei tifosi dei Senators su questa decisione per loro scellerata tanto che durante l’ultima gara a Washington da parte dei locali contro gli Yankees di New York apparvero dalle tribune diversi striscioni con la scritta “SHORT STINKS” (Short Puzzone) e poi al nono inning con i Senators in vantaggio per 7-2 centinaia di giovani invasero in campo razziando a destra e sinistra per realizzare un loro souvenir personale. Anzi si verificò anche il furto del cuscino di prima base, atto che fece decidere al plate umpire Jim Honochick di non far proseguire la partita.
Da allora e per ben 33 anni la Capitale degli Stati Uniti restò così senza una franchigia del grande baseball. Poi, nel seguire sempre il fiuto dei dollari, ecco che la Major League nel 2005 andò a formalizzare quale nuova sede degli “Expos” di Montreal proprio Washington con la franchigia, scegliendo di rinverdire la scia della storia, a nominarsi “Washington Nationals” a ricordo di squadre con la stessa denominazione che per breve durata giocarono nell’ambito dell’American Association dal 1884 al 1889.
Nella nuova sede di Arlington i Texas Rangers hanno avuto alterne prestazioni comunque bene accolte dalla nuova tifoseria e piacevole è stata anche la scelta della loro mascotte nel 2002: un cavallo di razza Palomino dal mantello ocra dorato con criniera e coda tendenti al bianco argenteo chiamato affettuosamente Capitan Rangers e vestito con l’uniforme della squadra e segnato con il privilegiato numero 72, anno in cui si verificò il trasferimento. Inoltre Capitan Rangers tra un inning a l’altro viene accompagnato dalle Texas Rangers Six Shooters, un gruppo di danza interattiva dei Texas Rangers che svolge diverse performance durante le partite casalinghe: le ragazze ballano, fanno acrobazie e interagiscono con i tifosi.
La loro bacheca è povera ma non è un problema per i loro tifosi. Comunque consta di 5 giocatori inseriti nella Hall of Fame, una World Series vinta, tre titoli di League e sette di Division.
In seguito, nel completamento dell’espansione del baseball in tutti gli Stati Uniti, nascono nel 1977 i Seattle Mariners e i Toronto Blu Jays in ambito dell’American League e nel 1993 i Colorado Rockies e nel 1998 gli Arizona Diamonbacks in quello della National League portando così il numero delle franchigie a trenta in ogni Lega, franchigie che nell’arco della stagione agonistica regolare sono chiamate a disputare ben 162 gare per uno spettacolo che non ha mai fine…
Micherle Dodde
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Rosa Mariano (martedì, 30 aprile 2024 16:30)
Caro Michele hai aggiunto un altro tassello di una grande storia.
Grazie!