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Federica gioca a softball, è al primo anno Cadette. Federica è molto brava, lancia, gioca in prima e quando si presenta al piatto non perdona. Federica ha un solo rammarico: la sua mamma non la viene a vedere, ma il suo papà si, un po'; Quanto le piace questo sport! Quanto le piace quando il suo papà la viene a vedere, un po'. Si perché il suo papà quando la porta alla partita si ferma fino al secondo inning; poi scarica la sua bicicletta e parte per i suoi venti chilometri giornalieri per tornare a riprenderla a fine partita.- Com'è andata Francesca? Bene! e così si ritorna a casa dove la sua mamma li sta aspettando. La sua mamma è bravissima in cucina. Quando Federica si siede a tavola trova "ogni ben di Dio". Poi, quando ha finito se ne va in camera sua, non vede l'ora di accendere il suo I-PAD e cercare la sua amica del cuore. Si chiama Sara. Sara gioca nella squadra del vicino paese. Si sono conosciute al Torneo di Collecchio lo scorso anno. La squadra di Sara ci và tutti gli anni al Torneo di Collecchio. A Collecchio ci sono sia ragazzi che ragazze. I campi sono dappertutto e poi, il Bar con i giocatori più grandi che ti fanno un sacco da ridere; fanno perfino il gavettone! a pagamento, bastano due euro e oilà! la tua amica è bagnata fino ai piedi. Sara è altissima; è come la sua mamma. La sua mamma è sempre al campo.
Sono le nove di sera. Su facebook Sara non c'è. Forse è al campo. Come le piace a Federica stare al campo fino tardi. La ci sono anche i ragazzi, c'è da morir dal ridere! i ragazzi fanno un po' gli stupidi, ma quanto le piace! Solo che nel suo campo appena finisce la partita non c'è più nessuno. Al campo di Sara invece si fermano tutti. Una sera c'era anche Federica e la sua amica Sara le presentò un ragazzo. -Ciao! Fede. Mi chiamo Luca, posso stare un po' con te? Federica se lo ricorda ancora; è successo il mese scorso. Le son tremate le gambe!
Accidenti, quando arriva Sara!? finché aspetta Federica da' una sbirciata su Google: "Torneo di Collecchio" . La lista delle squadre, le statistiche, c'è anche lei Federica. La sua squadra però non c'è. Il suo allenatore dice che i Tornei sono una perdita di tempo e che servono solo a fare soldi. - Forse è così, ma a me piace andare ai tornei e poi, ad esempio la squadra della mia amica quando rientra dai Tornei organizza un sacco di feste! Io credo che i Tornei uniscano le famiglie. La mamma e il papà di Sara sono sempre al campo e poi....ai Tornei.
- Sara! finalmente! ma dov'eri? - Scusa Federica, ma questa sera mi sono fermata al campo perché c'era la riunione. Riunione, perché? Dovevamo decidere a quali tornei partecipare! - Federica!......Federica! - cosa c'è mamma? - spegni la luce, domani devi alzarti presto! si mamma, si papà. Buonanotte Sara.......
Scritto da Federica
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La Tristezza per un anno finito, ma la speranza per il prossimo 2012
Abbiamo raccolto su Facebook questo pezzo di Martina Palagiano, giovane atleta della Dynos Verona Cadette. Ci è piaciuto molto e dopo suo consenso lo pubblichiamo integralmente.
CADETTE 2011♥
eccoci qui, con quest'anno che ormai si sta concludendo...più guardo questa foto e più sorrido. Si mi fa sorridere perché ci siete voi e ci sono i momenti più belli che abbiamo vissuto insieme. Poi però mi sento come un vuoto dentro, un vuoto causato dal fatto che il gruppo cadette di quest'anno non ci sarà più, nel prossimo campionato ci toccherà dividerci e sinceramente non sono ancora pronta...questa era la squadra che avevo sempre desiderato, una squadra unita dove si litiga, si gioisce, si vince e si perde ma si fa tutto insieme. Cavolo quest'anno ne abbiamo avute di soddisfazioni e di esperienze nuove, in questo campionato siamo cresciute tutte ragazze, siamo cresciute tecnicamente ma siamo cresciute come gruppo, un gruppo sempre più unito. Se ripenso a quanto eravamo agitate prima dello spareggio di fine campionato, alle canzoni che ascoltavamo insieme perché ci sembrava ci dessero la carica, alle magliette che ci siamo preparate tutte uguali e ai mille discorsi di incoraggiamento che ci siamo fatte. In quest'anno non ci sono stati solo momenti felici, bisogna dirlo, sarà perché stiamo crescendo o magari perché diamo importanza a cose diverse ma sta di fatto che le litigate ci sono state, penso però che anche queste abbiano contribuito a farci diventare la squadra unita che siamo. Su quel diamante sono convinta che almeno una volta ci abbiamo pianto tutte, per diversi motivi ma a volte anche per li stessi, ci siamo fatte male ma poi desiderando la vittoria ci siamo rialzate. Con le parole non sono molto brava, volevo solo farvi capire che ci sono momenti passati con voi che non dimenticherò davvero, grazie ragazze perché penso che quest'anno sia stato il migliore tra tutti i campionati anche perché ero con voi. Adesso forse dovrei ringraziarvi una per una perché avete tutte qualcosa di speciale, ma dico grazie a questa squadra che ha giocato partite meravigliose. Adesso ci aspetta un nuovo anno, e anche se non saremo tutte insieme, ricordiamoci che in noi ci deve sempre essere questa voglia incontenibile di giocare e di dare il meglio!
Scritto da Martina Palagiano
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In un sito che ha una sezione Racconti che riguardano il Baseball non poteva di certo mancare Michele Dodde. Il racconto "La Battuta" è già stato pubblicato in numerosi siti. Vogliamo trascriverlo anche noi in quanto lo troviamo veramente piacevole.
Per chi arriva da Matino, così disordinatamente arroccato sulle serre salentine, e percorrendo la tortuosa strada poderale, il campo di baseball in località Fondo Rimi appare adagiato tra alberi secolari di ulivi e filari di vitigni come i sognanti Elysian Fields, “ideali e munifici giardini di felicità concessi dagli dei alle anime dei buoni”. Intitolato con affetto al compianto Delle Castelle, giocatore matinese prematuramente scomparso, il diamante nella sua dislocazione acquista sempre nella tarda estate nuovi colori vivi, sui quali privilegiava un verde-giallo ocra, che danno la possibilità di poter acquisire quasi un recondito privilegio atto ad assorbire una sensazione benefica di calmo abbandono all’irruenza quotidiana della vita, ovvero delinearsi quale giusto luogo dove stemperare pensieri di una vita passata a consumarsi così priva di ragione ed intelletto.
E tutto accadde su quel campo ed in quella domenica. Dopo un lungo pomeriggio, la gara stava ormai volgendo al termine. L’ottavo inning ancora bloccato dallo score sul due pari e là, sulle
gradinate delle tribune, tra un panino ed un urlo di incoraggiamento, battevano all’unisono i cuori degli appassionati così fortemente legati alla squadra come fosse un consunto portafortuna da
cullare e prendere per mano, come fosse l’intimo sentimento per un qualcosa che vale così alto al di sopra della consuetudine e del banale. Tra il disordine-ordine delle panchine l’odore degli
unguenti alla canfora si miscelava con quello del sudore e il sapore della polvere era sulle labbra di tutti i giocatori. Nella prima fase del nono inning con grande carattere e determinazione il
lanciatore di casa stava chiudendo a zero usando lanci liftati e a foglia secca ma di fatto stava superando se stesso per demandare poi al proprio line up il compito di risolvere la questione.
Dopo il terzo out il manager, con fare impassibile e distaccato da ciò che lo circondava, iniziò con interesse a girare le pagine del suo block notes personale che portava nella tasca destra
della divisa come un breviario e poi fece solo dei cenni con gli occhi verso l’assistant coach.
La tensione era elevatissima poiché sempre ogni gara poi alla fine diventava quella della vita. E questa era diventata quella della vita. Vincenzo era lì quando sentì la pacca sulle spalle
con una voce a sussurrargli: “Preparati, vai secondo in battuta”. Per un attimo la casacca numero 21 restò immobile. Poi si alzò e improvvisamente gli apparve nella mente il diorama vivente della
sua essenza che ripercorreva i giorni, i mesi e gli anni, di fatto mai passati, da quando la prima volta prese un guantone ed accarezzò una palla. Nacque già allora un muto dialogo che era
promessa e desiderio e che delineò quel desiderio in modo coinvolgente. Poi i movimenti dei fondamentali imparati lì sull’erba degli esterni si dimostrarono eterni e divennero più grandi dei
gesti quotidiani tesi all’inutile ricerca del proprio limite. Stringere poi la mazza con le dita delle mani e non con i palmi delle stesse allineando le nocche per bloccare i polsi gli fece
nascere la certezza di poter osare l’inosabile e questo gli aveva riscaldato più volte il cuore là nel box di battuta specialmente negli struggenti momenti di solitudine.
Ed era l’antica preghiera sumera che spesso si ripeteva: “Che la gioia possa guidare il tuo cammino” a fargli intravedere la propria armonia quale essenza metafisica. Come ora al nono inning. Quanto tempo aveva passato lì sulla panchina nell’attesa? Forse molto, ma ora questo non era più interessante saperlo poiché tutto invece gli stava indicando come fosse stato importante aver avuto la possibilità di vivere sempre con attenta riflessione e giusta calma interiore. Non doveva allora dare importanza al passato, poiché esso era ed è solo memoria di eventi trascorsi. Il futuro no, quello poteva e doveva essere realizzato quale successione di tanti istanti presenti. E il suo futuro stava iniziando lì poiché era consapevole che la sua preparazione era stata finalizzata all’evento.
Ogni particolare era stato delineato con scrupolosa attenzione senza nulla togliere al caso. L’idea che di lì a poco sarebbe andato a battere certo che lo stava attanagliando come quando ebbe
il suo primo incontro segreto con l’amante, ed è per questo che ora desiderava isolarsi andando ad amare il silenzio. Quel silenzio che troppe volte gli aveva parlato con il linguaggio muto dei
saggi. Quel silenzio che tante volte aveva sovrastato le parole crudeli ed inopportune per incidere direttamente sul cuore. Quel cuore che da sempre gli stava donando pulsazioni e vertigini. Ed
ancora di più ora poiché era fortemente consapevole che con quella frase:” Preparati, vai secondo in battuta” era stato chiamato a salvare qualcosa. Salvare il risultato della gara con una
battuta o salvare la battuta con il risultato della gara? Un enigma che stava prendendo vita mentre si toccava con nervosismo la visiera del proprio berretto scostando la ciocca di
capelli.
Allora andò a scegliere con attenzione la mazza poichè era importante coordinare con lei il proprio coraggio, l’equilibrio, la forza e le rapide reazioni muscolari riportando alla mente le
tre regole d’oro del mitico Ted Williams.
Ma era certo che era stato chiamato a salvare qualcosa. Tuttavia la mente gli stava proponendo esclusivamente contenuti privi di spessore ed ancora una volta stava incominciando a sentire il
dramma della crisi che era certo lo avrebbe colpito lì nel box di battuta.
Eppure doveva salvare qualcosa, come lo fu con il vento freddo e tagliente della brezza marina, come lo fu con la carezza del padre quando da piccolo si addormentava. Salvare senza
involuzione per attivare quella ricerca istintiva di se stesso per capire. Salvare. Sì, e consapevolmente intuì quanto importante fosse salvare la battuta quale senso intimo ed aristocratico,
quale elemento vitale dell’essere, quale mondo fatto di tradizioni, estasi e tormento come in quel racconto di Kafka che così profondamente lo aveva colpito. La battuta allora, perché la battuta,
che aveva sempre dialogato con i suoi limiti fisici e del pensiero, potesse finalmente distaccarsi come nuova entità che lo personalizzasse e divenisse carismatico momento di riflessione. La
battuta allora, perfetta comunione di solitudine, affinché lo aiutasse a ritrovare nella sfida degli eventi, nella ricerca dei suoi momenti migliori, nella conferma delle sue qualità da altri a
volte ignorate o sottovalutate, il proprio dio sconosciuto.
E non sentì nemmeno il boato di delusione quando il primo battitore-corridore fu giudicato out in prima, assorto com’era nella sua preparazione. Poi, quando il manager gli trasmise i segnali
non ebbe dubbi sul tipo di battuta poiché ora ne capiva il significato ed incominciava a sentirla nel sangue. Era certo infine che la battuta con lo swing irripetibile e condizionante lo avrebbe
portato al traguardo finale come tappa conclusiva dei suoi pensieri. Con il volto duro sotto il caschetto e lo sguardo fisso davanti verso il lanciatore suo futuro prossimo, con quella pazza
voglia di esserci lì per delineare quell’intrinseco ed unico valore in cui credere, si posizionò nel box con i piedi leggermente divaricati e le ginocchia appena flesse.
Quando l’arbitro con voce roca chiamò il play ball, sentì svanire la tensione e, dopo aver fissato per un attimo gli occhi del lanciatore, ne seguì solo il movimento del braccio sino al
rilascio della palla memorizzando l’apertura delle dita della mano per intuire quel percorso che era diventato lo specchio convesso della sua vita. Lo stride fu automatico e quando sentì che
aveva colpito la palla provò il fremito dei polsi che si scioglievano e ruotavano permettendo alla mazza di completare lo swing. Il mento, ripiegato sulla spalla posteriore, stava guidando i suoi
occhi a fissare il punto di contatto.
Poi si scosse lasciando cadere la mazza e correndo verso la prima base guardò disincantato la palla che si era alzata e volava, volava, e volava, volava fin quando l’urlo degli appassionati
coprì la sua fase discendente ben oltre la rete dell’esterno sinistro. Un incredibile fuori campo che ora stava chiudendo la gara con una sequenza di attimi dopo attimi sino a fargli intuire
nella blanda corsa sulle basi il senso vero del grande valore di quella battuta. Sì, poiché quella battuta, nella sua esecuzione, era diventata la personale e forte ricerca della sua
libertà.
Scritto da Michele Dodde
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Trent’anni fa gli abitanti di Seveso vissero un dramma che li segnò profondamente. Dall’ICMESA, una fabbrica chimica, a causa di un guasto fuoriuscì una grande quantità di diossina che causò immani danni alle persone, agli animali e all’ambiente. Esattamente trent’anni dopo sotto lo stesso cielo, nella stessa stagione, l’estate, un altro piccolo dramma si consumò su di un diamante tra un gruppo di ragazzi che si davano battaglia giocando a baseball.
Mi scuso per l'improprio paragone con tutti coloro che sono stati colpiti da quella tragedia. Il fatto raccontato fu realmente accaduto e io ne fui testimone. Il nome del protagonista, la sua provenienza e il suo profilo è invece inventato.
E’ il 15 Giugno del 2006 quando Andrea, un ragazzo sveglio dei sobborghi di Bologna, riceve una lettera dalla Federazione in cui viene convocato al raduno di Tirrenia per formare la squadra ITALIA CENTRO. La squadra parteciperà dal 20 al 26 Agosto al Mundialito 2006 in Lombardia. L’emozione che lo pervase fu talmente forte che si sentì dei brividi per tutto il corpo. Il suo sogno! Il sogno di un ragazzo che dopo aver fatto i compiti assegnatigli dai professori della scuola media di Castedebole, si catapulta in quel diamante dove assieme agli amici, con guanto, palla e mazza gioca al suo sport preferito: il baseball. Andrea è un bel ragazzo di 12 anni, di statura piuttosto alta per la sua età, con i capelli biondi e ricci e uno sguardo intelligente del bravo ragazzo, ma anche gli occhi profondi e decisi ereditati dal padre. Dalla madre ha ricevuto la bontà d’animo e la gentilezza. Le due qualità facevano di lui un leader riconosciuto da tutti. Nella squadra di Casteldebole era sicuramente il più bravo, ma in nessun caso perdeva la pazienza con il compagno in difficoltà, anzi spesso correva dopo l’errore e lo rassicurava dicendogli: - non ti preoccupare, hai fatto un errore, ma ce l’hai messa tutta! Vedrai che la prossima volta quella palla la prenderai!
Alla notizia della convocazione i compagni gli fecero festa circondandolo con l’affetto e la venerazione che sempre si riconosce ai leader.
Tanta attenzione procurò ad Andrea un certo imbarazzo anche perché avrebbe voluto che tutti i suoi compagni potessero provare quella gioia.
Andrea ancora non sapeva che assieme alla gioia avrebbe provato anche tanto dolore.
E’ la mattina di giovedì 24 Agosto 2006 e sul diamante di Seveso splende il sole quasi a voler dire ai suoi ospiti che la diossina del ‘76 è stata dimenticata.
Sul campo pronti a scendere in partita le due rappresentative ITALIA CENTRO e ITALIA NORD. Tra loro Andrea con fierezza canta con i compagni l’Inno dei Mameli. Per quei ragazzi di 12 anni il momento è importante. Si gioca la semifinale del Mundialito 2006. Le precedenti partite avevano visto prevalere le due formazioni contro i pari età di Repubblica Ceka, Romania, Bulgaria, ecc.
Ora i 18 ragazzi per squadra si sarebbero affrontati ben sapendo che metà di loro sarebbero stati eliminati per la finale. La partita è vibrante i sostenitori delle due squadre formate per lo più dai genitori alternano canzoni ed incitamenti. E’ tutta una grande festa. Tra i ragazzi Andrea come sempre gioca bene e sostiene i compagni: batte e prende alcune palle al volo. Da esterno destro pur non essendo il suo ruolo principale riesce a ben figurare.
La partita si avvia alla stretta finale l’ITALIA CENTRO è in vantaggio per 5 a 4 al sesto e ultimo inning; Andrea è concentrato, segue il suo lanciatore; sulle basi due corridori avversari, ma gli out sono due; ancora una palla!
Andrea incita il proprio compagno - ancora un lancio, due strike! Ecco ad una passo dalla vittoria. Lancio decisivo, la palla scende veloce dalla mano del lanciatore e vola velocissima verso il battitore, Toc!
La palla sale alta nel cielo, in quello stesso cielo dove trent’anni fa si infuse la diossina e dove ora splende il sole; la palla si alza sulla destra, c’è Andrea, attento, concentrato. Ecco la palla scende, Andrea ha perfettamente capito la traiettoria e si posiziona; gli occhi la seguono, nella sua mente vede i propri compagni; da li a pochi secondi saranno tutti li ad abbracciarlo, lui, l’autore dell’ultimo out; con uno sguardo vede i corridori avversari che inutilmente vanno verso casa base, una corsa che non servirà perché fra un attimo lui prenderà quella palla e sarà il terzo out. Nella sua mente ripercorre il campionato quando i suoi compagni di Castedebole lo abbracciavano perché lui, il più bravo, aveva battuto la valida della vittoria. Ora sente i rumori ovattati del campo, sente il sospiro dei genitori sulle tribune, l’incitamento dei compagni, gli basta gridare: - mia! e tutto sarà finito.
Eccola è a pochi centimetri da lui, il viso è rivolto al cielo, eccola, - mia!
Un leggero battito di ciglia, la palla anziché insaccarsi colpisce le dita del guanto, esegue una piroetta e va a sbattere sullo zigomo dell’occhio destro: - maledetta kenko! se fosse stata una palla vera non sarebbe uscita, Andrea lo sa. Sente un dolore, i rumori del campo sono diventati un boato, Andrea vede i ragazzi che si abbracciano, ma quei ragazzi non sono i suoi compagni; ora sa di essere solo e lo assale la disperazione. Il dolore diventa così forte che le lacrime sgorgano senza fine. Corrono su di lui gli allenatori, hanno il ghiaccio, hanno visto tutto e sono pronti ad assisterlo, ma il dolore è fortissimo.
Ecco il ghiaccio è sull’occhio, ma il dolore aumenta, il ghiaccio non serve, non serve a calmare il dolore e la disperazione dell’anima. Si sente di aver tradito, di aver tradito la fiducia dei compagni, degli allenatori, dei genitori, ma anche dei ragazzi di Casteldebole. Gli allenatori hanno capito, sanno perfettamente che le lacrime di Andrea non sono per il dolore dell’occhio. Lo abbracciano e lo consolano. Arrivano anche i primi compagni che dopo la rabbia capiscono il dramma.
Trent’anni fa il cielo di Seveso era coperto dal veleno, ora il sole bacia un altro piccolo dramma.
Una pagina di vita di un piccolo ragazzo in una piccola città. Un’esperienza che a prima vista può far sorridere; alcuni leggendo queste righe potranno provare un’emozione o al massimo per i più sensibili, una lacrima percorrerà il loro viso.
Racconto scritto da Paolo Castagnini 13/02/2012
Messaggio: Pazzo di un Paolo, sono rimasto incollato al racconto preparandomi ad un finale tragico...e sportivamente lo può sembrare. Spero che Andrea e molti ragazzi leggano questo brano. A me suggerisce molte cose, ma una penso sia importante: ogni ragazzo deve avere la possibilità di vivere quelle emozioni che ha avuto Andrea. Gioire di quelle positive e aver amici che ti consolano nei momenti meno felici.
Grazie Paolo ciao
Luigi
Sono le 7 del mattino del 19 Giugno 2012, bisogna prepararci. Caffè, latte, biscotti, ma non ho fame. Sono troppo agitato. Mi aspetta un'avventura che ricorderò per tutta la vita. Salgo in auto con mamma e papà; si va a Milano Linate. Durante il percorso in autostrada sogno; mi vedo su quei campi che ho visto solo in TV, io con il mio Rawlings ben oliato. Mi piace sentire l'olio che penetra nel mio guanto e poi annusare, annusare. A volte mi capita di annusare l'erba del campo quando facciamo gli esercizi per i dorsali. Ecco ci siamo. I miei nuovi compagni sono tutti la. C'è il checkin. Mettiamo tutto il materiale da baseball in un grande borsone; mazze, caschetti; io ho il materiale da catcher. Il borsone è enorme e pesante. Mi prende l'emozione e mi sale lungo la nuca, sento dei brividi. Non c'è tempo, si va sull'aereo. L'hostess si assicura che abbiamo inserito le cinture di sicurezza e ci consegna le cuffie. Sullo schienale del sedile davanti ho il mio display tutto per me; durante il viaggio voglio vedere il mio film preferito: Moneyball con Brad Pitt. Sarà in inglese! per forza siamo sulla British Airways, ma sono contento così. L'inglese a scuola lo sto studiando e voglio impararlo bene. Ho detto alla mia Profe che da grande giocherò in America. Lei mi ha guardato, mi ha sorriso, si è voltata e se ne è andata. E' sempre così; nessuno ci crede, ma io giocherò in America. L'aereo rulla, è la prima volta per me; vedo i sedili davanti che si alzano e poi sento lo stacco dal terreno. Per un attimo lo stomaco sembra voler restare a terra, ancora un brivido e sono nel cielo. Chiudo gli occhi e penso alla partita che vedrò allo Yankees Stadium. Io tifo per gli Yankees, sono troppo forti! Ci saranno i Cleveland Indians. Ora penso a quando giocherò contro i ragazzi Americani. Mi vedo accucciato; faccio i segnali al mio lanciatore, una palla veloce interna. Il battitore è troppo vicino al piatto di certo non la becca! ora però davanti a me non c'è più il mio compagno; c'è Mariano Rivera, mi fa segno di no, cambio il segnale, la splitter, si, che cade sul filo esterno! Mariano ha ragione. Sono qui, con gli Yankees, Jeorge Posada si è ritirato e hanno chiamato me. "What do you want to drink?" mi sveglio di soprassalto, c'è l' Hostess con il carrello. No Thanks! Ritorno alla realtà. Però tutto questo è reale. Sto andando in America. Mi alzo e guardo i miei compagni. Mi sento felice. Con tutti loro passerò dieci giorni giocando a baseball. Vedremo una partita di MLB e poi guarderemo i grattacieli e le strade americane. Italian Dream! Il sogno Italiano!
La storia è ambientata nel futuro e quindi inventata. Il viaggio però è reale. Dal 19 al 29 Giugno 2012 un gruppo di Ragazzi attraverso l'organizzazione Baseball On The Road si recheranno a New York, Boston, Philadelphia, Stato di New York e New Jersey.
Questi sono i Ragazzi:
Lorenzo Degli Esposti e Umberto Frisoni (Rimini Riviera), Alberto e Alessandra Lazzari (Cairo Montenotte), Davide Mina e Federico Gambedotti (Grizzlies Torino 48), Amedeo Maggia, Giovanni Spinelli, Daniele Contri e Simone Franchin (Dynos Verona), Massimo Pilutti, Giulio Da Rè e Riccardo Bertossi (New Black Panthers)
Racconto scritto da Paolo Castagnini 10/02/2012
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Veramente bella questa storia, un sogno che diventa realtà…..a leggerla quasi mi commuovo…….troppa gente gira le spalle ai sogni dei nostri ragazzi tagliando le ali a chi veramente ha voglia di volare e non solo dall’altra del mondo come farà prossimamente Amedeo, ma anche a chi vuole volare semplicemente rimanendo a terra e vedere il proprio sogno anche se magari apparentemente meno ambizioso, ma pur sempre importante, diventare realtà.
Io ringrazio Amedeo, Gioele e Jacopo, i miei figli, perché vivo con loro i sogni che portano dentro e questo è semplicemente bello: un dono che dà alla vita il senso della vita.
Ringrazio anche quelle persone che s’incontrano, a volte casualmente e non girano le spalle ai sogni dei nostri ragazzi……ma credono in loro fortemente…..andando anche controcorrente, grazie Paolo e Giò, Dynos & C.
Angela 10/02/2012